I robot (italiani) che sognavano di ribellarsi

La narrativa di De Turris. Un insieme di storie che si nutre di Mediterraneo e sfida gli Usa

Il romanzo di De Turris
Il romanzo di De Turris

N on avevano un grande futuro dietro le spalle. È per questo che se lo sono inventato. Davanti, guardando oltre, scavallando il Duemila, fino ai confini più lontani dell'universo, dentro l'uomo, con i suoi incubi, i bagliori di utopia, le paure, le promesse, i tradimenti, la poca fiducia nel potere, le disillusioni della scienza. I ragazzi degli anni '50 sapevano guardare il cielo, amavano gli aerei e pensavano che lo spazio fosse una sorta di far west, una landa da esplorare, frontiere da attraversare, ma soprattutto sapevano ancora declinare i verbi al futuro, il futuro semplice, quello non consumato, non andato a male.

Una piccola e coraggiosa casa editrice, Psiche&Aurora, ha raccolto e pubblicato i racconti di uno di quei ragazzi. Il titolo è, non a caso, Futuro anteriore. L'autore è un uomo, un intellettuale, che da una vita viaggia in mondi paralleli, nelle curve del tempo o nei luoghi del fantastico, nei contropassati prossimi e nelle contraddizioni dell'ucronia. Si chiama Gianfranco De Turris e ha fatto la storia della fantascienza italiana. La guerra era una cicatrice fresca sulla pelle, la pace aveva spaccato il mondo in due, la modernità era meccanica, sapeva di grasso, motori ed acciaio, il sogno ti portava alle stelle. Erano gli anni dello Sputnik e dell'Explorer, di Gagarin e John Glenn, di guerra fredda e di programma Apollo. La fantascienza era una carta d'identità, un modo per sentirsi diversi, un po' come accade qualche anno dopo ai nerd innamorati dell'informatica. Solo che qui il passo è ancora più romantico.

Nel settembre del 1957 Armando Silvestri e Cesare Falessi pubblicano una rivista che racconta la conquista dello spazio: Oltre il cielo. Missili e razzi. Parla di progettazione, costruzione e lancio di missili sperimentali. Parla del futuro dell'aviazione, cioè di astronavi. Ci sono ritratti di astronauti, cosmonauti e avventurosi argonauti. È roba per ingegneri cresciuti con i romanzi di Salgari o di Verne. «Oltre il cielo - scrive Luigi De Pascalis nella prefazione di Futuro anteriore - aveva al suo interno una piccola sezione dedicata alla narrativa fantastica. Vi si leggevano racconti di Dick, Clarke, Wells, Simak, van Vogt, ma anche italiani come Adani, Pestriniero o Sandrelli». È qui che De Turris disegna i suoi mondi, umani troppo umani. Cosa c'è nel futuro di un ventenne di cinquant'anni fa? I ragazzi degli anni '50 il futuro lo hanno immaginato, cercato, vissuto, consumato. Milioni di futuri possibili. Futuri veloci, leggeri, che vivono all'incrocio dei venti, ma forti, resistenti, perché non sono fatti di nulla.

De Turris sembra non dare mai grande peso a quei racconti lontani, forse per dolore, per disincanto, ma sono fatti di materia viva. Hanno qualcosa di eterno. Si nutrono di mediterraneo e sfidano l'America. Ci trovi frammenti di Ariosto, la leggerezza dell'Ippogrifo e lo sguardo veggente e cupo di tutto quello che sarebbe arrivato dopo. I suoi robot sognano, come in Racconto di Natale e nel Fuggitivo, di diventare umani e stanno lì prima di Asimov. Sono universi dove i libri si ribellano, le macchine si ribellano, gli umani provano a ribellarsi. Sono uomini che tentano disperatamente di tornare a casa, odissei che non arriveranno mai a Itaca, abbandonati da Dio e dal progresso. «Eroi solitari - ricorda Max Gobbo - che cercano di lottare contro un destino ineluttabile, in interminabile attesa di un oscuro nemico». Eroi incompresi. Eroi che non si arrendono. Sono i compagni di viaggio di De Turris, e non lo hanno mai abbandonato. Forse sono sempre la stessa persona. Come il misterioso naufrago del suo ultimo romanzo Il vecchio che camminava lungo il mare (Tabula Fati). Sono anni che raccoglie qualcosa sulla spiaggia. Frammenti di cosa? Un uomo lo osserva e non capisce. Il primo sta per concludere il proprio cammino. Il secondo non sa di aver appena intrapreso il suo.

Tutti e due cercano un altrove. Qui, ovunque, in un sottoscala, dall'altra parte o in cocci aguzzi di bottiglia, portati dal mare, aspettando un messaggio, un biglietto, un senso, una rotta.

Un futuro. Non solo un futuro anteriore.

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