La fuga di Mussolini da Milano, iniziata il 25 aprile del 1945, e terminata con la morte del dittatore a Giulino di Mezzegra il 28 aprile 1945, è uno degli avvenimenti più studiati della storia italiana. Molti dei fatti sono chiari e noti. Altri decisamente meno a partire da come effettivamente sia stato ucciso il dittatore.
Una situazione di per sé non stupefacente. Il Duce sconfitto era da vivo molte cose, tutte scomode. Giusto per elencarne qualcuna: un testimone della Storia che sapeva molti segreti, un simbolo pericoloso, un perfetto agnello sacrificale che una volta ammazzato avrebbe consentito agli italiani che avevano indossato in massa la camicia nera di scaricarsi la coscienza, un ex alleato che i tedeschi avevano praticamente trasformato in prigioniero, ottimo per farne oggetto di scambio. Ecco perché su chi e come l'abbia ucciso, su che fine abbiano fatto i documenti che portava con sé esistono moltissime versioni. Una ufficiale sebbene piena di lacune che lo vuole fucilato per ordine del ClnaI dal colonnello Valerio (nome di battaglia di Walter Audisio) all'ingresso di Villa Belmonte. Altre che vanno dalla pista inglese (su cui torneremo tra poco) ad ipotesi molto varie sul quando e come sia avvenuta davvero la fucilazione e sui partigiani presenti.
La diatriba è rilevante anche se difficilmente risolvibile. E non per questioni di nomi. Già Renzo De Felice scriveva: «Scoprire se il grilletto l'ha tirato Tizio o Sempronio... a me importa poco». Ma per questioni relative ai moventi. Un conto sarebbe la volontà dei partigiani di farla finita con una dittatura il più velocemente possibile (la versione ufficiale). Un altro la volontà di liberarsi subito di un testimone senza farlo arrivare alla sbarra di un tribunale. Sbarra a cui volevano trascinarlo a tutti i costi gli americani. Ed è proprio sui moventi che si rivela interessante e di rottura il libro che pubblichiamo, da domani, nella biblioteca storica in allegato a il Giornale : Gli Ultimi giorni di Mussolini (pagg. 360, euro 7,60 più il prezzo del quotidiano).
Milza, professore emerito presso l'Istituto di Studi Politici di Parigi, è uno specialista di storia italiana (ha appena pubblicato il saggio Hitler e Mussolini per i tipi di Longanesi) e si muove lungo la linea interpretativa degli studi di De Felice col quale aveva intrattenuto un ventennale rapporto di amicizia.
Il gusto della ricerca ha spinto Milza, nel 2011, a esaminare quelle ultime giornate del Duce e, pur non producendo una documentazione inedita, a individuare e sistematizzare tutti gli aspetti oscuri che ne circondano la fine.
L'arresto di Mussolini, gli intrighi che ruotano attorno alla sorte da riservare al Duce, la «missione» del colonnello Valerio, il ruolo di Luigi Longo (che rappresentava l'ala dura del Pci e secondo alcuni presenziò all'uccisione del Duce), la tesi della «doppia fucilazione», l'ipotesi (poco probabile secondo Milza) delle torture e della violenza inflitta a Claretta, le tracce del cosiddetto «tesoro di Dongo» sono tutti temi di un racconto che si sviluppa con dovizia di particolari e oggettività. Il punto centrale dell'analisi di Milza ruota però attorno alla «pista inglese» o, più esattamente, alla piccola guerra dei servizi segreti alleati. Egli riprende, citandole espressamente, le allusioni di De Felice nel Rosso e Nero (1995). Allusioni che facevano riferimento alle rivelazioni, emerse un anno prima della pubblicazione di quel saggio intervista, di un ex partigiano: Bruno Giovanni Lonati (nome di battaglia Giacomo).
Lonati raccontò di aver fatto parte, insieme a un agente dell'Intelligence britannica - il cui nome di battaglia era capitano John - di un commando incaricato di uccidere Mussolini e la Petacci e raccontò in dettaglio l'operazione. Lo storico francese fa ovviamente appello alla prudenza su una tesi così forte. Ma mostra, anche contro le liquidatorie affermazioni in contrario di alcuni storici inglesi, come Richard Lamb, di ritenere che questa ipotesi non sia inverosimile e che, anzi, presenti elementi di interesse. Di fatto i motivi per eliminare il Duce a Churchill non difettavano. Gli americani invece avrebbero avuto un piano opposto.
Forse addirittura il sulfureo, e sotterraneo, proposito di tenere il Duce in vita, forse in Svizzera, utilizzarlo come «riserva anticomunista». Milza non dà risposte definitive. E forse nessuno le darà. Però insinua sempre i dubbi giusti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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