Cultura e Spettacoli

L'arte di plastica si ricicla di continuo

Polimero significa «dalle molte parti»; proprio come la città di Napoli che tra le molte anime vanta quella di un collezionismo che mescola la passione per l'arte a quella della scienza. E allora, nello stesso centro storico che ospita il misterioso Cristo velato del principe di Sansevero, scopriamo l'esistenza del più importante museo dedicato alla plastica: un luogo che raccoglie quasi duemila opere tra arte contemporanea, design e oggetti realizzati dalla metà dell'800 fino agli anni '60. Il museo si chiama Plart ed è nascosto in un palazzo storico di via Martucci, nel quartiere Chiaia. Qui si apre un percorso di mille metri quadri che ospita una collezione raccolta durante oltre un trentennio, e poi un centro di ricerca per il recupero e il restauro dei polimeri, con aule didattiche aperte alle scuole che raccontano la storia della plastica attraverso un archivio multimediale. Artefice della Fondazione che è un punto di aggregazione per mostre, convegni e laboratori, è Maria Pia Incutti, alle spalle una carriera imprenditoriale con incarichi in Confindustria e uno spiccato pallino per l'arte contemporanea condiviso in famiglia (sua sorella è la nota gallerista napoletana Lia Rumma).

«Ho raccolto, grazie anche alla collaborazione dell'architetto Nunzio Vitale, oggetti rari e opere d'arte in tutto il mondo - racconta - in un'epoca in cui nessuno considerava la plastica per il suo valore estetico. Per me, innamorata della Pop art, è stata una passione che ha permesso di creare la più grande collezione al mondo di questo genere, suddivisa per forma, colore e materia». Nelle teche, borse, gioielli, lampade, utensili, vasi, giocattoli, radio, apparecchiature elettroniche, «figli» della plastica in tutte le sue forme: in bois durci, celluloide, acrilico e resina fenolica, la vecchia bachelite, fino ad arrivare al polietilene, polistirene, pvc, abs, vengono esibiti in una teca in corian e plexiglass. In mostra, i prototipi della ditta Gufram di Torino, creati tra la fine dei '60 e l'inizio dei '70, e ancora Capitello , la dormeuse a forma di capitello inclinato a firma dello Studio 65; Cactus , l'attaccapanni-cactus di Guido Drocco e Franco Mello; Tavolo-erba , l'esemplare unico del tavolo-prato e Incastro la seduta-scultura in due parti, entrambi di Mello; Pratone , la poltrona fatta di steli giganti di Giorgio Ceretti, Pietro Derossi e Riccardo Rosso; e la seduta Farfalla e il tappeto Pavé Piuma di Piero Gilardi, tutti in poliuretano.

Per l'arte, invece, la collezione raccoglie opere di Lucio Fontana, Enrico Baj, Tony Cragg, Haim Steinbach combinate alle celebri sedute di Verner Panton, Peter Ghyczy, Eero Arnio, Ugo La Pietra, Michele De Lucchi, Gaetano Pesce, e nuove acquisizioni a firma di Tom Dixon, Amanda Levete, Sonia Biacchi, Wanda Romano, Formafantasma, Mischer'Traxler, Sander Bokkinga, Fabio Novembre, Felix Policastro, Sergio Fermariello, Riccardo Dalisi, e altri. Fino ad autunno inoltrato proseguirà la mostra «The future of plastic» con le ricerche del designer italiano Maurizio Montalti dell'Officina Corpuscoli. Il suo «growing design» mette in luce le creazioni ottenute dalle ultime frontiere della ricerca, una sorta di «coltivazione» di oggetti composti da una specie di funghi, largamente presente in natura, che viene impiegata come collante di scarti agricoli, fibre e materiali organici. «Molti stereotipi vanno abbandonati - dice Incutti - perchè la plastica è una materia che si sta trasformando e oggi può essere riciclabile al 100 per cento.

Oltre alle mostre, ospitiamo infatti convegni e personalità accademiche da tutto il mondo per raccontare i mille modi con cui, dopo il suo utilizzo, può ritrovare nuova vita».

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