Il Leonardo ritrovato? È un'autentica crosta

Un modesto omaggio al maestro scambiato per un capolavoro perduto Ed è solo l'ultimo caso di attribuzione a effetto ma del tutto implausibile

Il Leonardo ritrovato?  È un'autentica crosta

Sconcerto soprattutto, oltre che stupore, prova chi, con esperienza seria di opere d'arte, trova, ancora una volta, su un quotidiano autorevole e rispettabile, la notizia di un eccezionale ritrovamento, «il Leonardo mai visto».

Del «mai visto» spesso si abusa. Fu così anche per una scolastica Fuga in Egitto dell'Hermitage di San Pietroburgo, erroneamente riferita a Tiziano e pomposamente esposta all'Accademia di Venezia. «Mai vista» perché non era del grande artista veneziano. C'era poco da vedere. E il vero Tiziano mai visto, il San Lorenzo dei Gesuiti appena restaurato, era esposto in una Banca di Alba. Qualche mese prima era stato «scoperto» un altro capolavoro, un Sant'Agostino di Caravaggio, dipinto circa quarant'anni dopo la morte del Maestro e reso noto con euforia sul Sole 24 Ore. Alle contestazioni sull'impossibilità, anche per Caravaggio, di dipingere dall'aldilà, il direttore del giornale fu turbato e quasi offeso, perché io, mai prima, come altri studiosi, interpellato, avevo rovinato la festa. Oggi a quel Caravaggio non crede più neppure chi volle, con grande convinzione, pubblicarlo. Stessa reazione da parte di Bruno Manfellotto, direttore dell'Espresso, il quale pubblicò in copertina un falso Raffaello (derivato dalla Visione di Ezechiele), promosso in assoluta solitudine dal più frivolo dei miei allievi, ragazzo scanzonato e del tutto incompetente per titoli e per esperienza, con l'aggravante di aver derubricato a copia l'originale conservato a Palazzo Pitti.

Ma le bufale più clamorose riguardano Leonardo. Arrivarono da me, qualche anno fa, due sprovveduti proprietari di un buffo «Autoritratto di Leonardo» di evidente fattura tardo-ottocentesca, vacuamente illustrativo, con l'effetto di sembrare una caricatura dell'attore che impersonò Leonardo nello sceneggiato televisivo di Renato Castellani: Philippe Leroy. Una cosa da ridere, e io ci risi infatti con i poco spiritosi promotori del dipinto da loro reperito ad Acerenza in Basilicata. Ma il dipinto fu esposto, mi pare, a Potenza e forse perfino a Roma, con il compiacimento di illustri competenti e il parere di Carlo Pedretti, esperto unico di Leonardo. Naturalmente i giornali celebravano la scoperta con importanti articoli: sul Messaggero, sull'Unità e sulle testate locali. L'onda lunga del «capolavoro ritrovato» continua: il dipinto è oggi esposto in una sede pubblica a Cava de' Tirreni, con la compiacente benedizione della Soprintendenza.

Ma Leonardo farlocco era arrivato anche in sedi più prestigiose. L'anno scorso, una copia, indegna di Porta Portese, riportata in Italia con tutti gli onori e con l'impegno dei Carabinieri e dei funzionari delle Belle arti, fu esposta come un «capolavoro» al Quirinale, con la benedizione del presidente di così larghe intese, e altrettanto larghe spese (e promesse di sensazionali prestiti, per reciprocità, alla fantomatica fondazione giapponese proprietaria della crosta), da comprendere anche Salvatore Settis, con conferenza all'Accademia dei Lincei, e perfino di uno stranamente compiacente Tomaso Montanari, che finse di vedere un interesse nel modestissimo manufatto ma che ebbe il buon senso di convincere i promotori a non usare e abusare del nome di Leonardo. Il valore dell'oggetto ispirato all'affresco perduto della Battaglia di Anghiari? Duemila euro. Anche in questo caso qualche sussurro rassicurante era venuto da Carlo Pedretti, già distintosi per aver attributo a Leonardo uno schizzo, sempre per la Battaglia di Anghiari, realizzato da Riccardo Tommasi Ferroni. Io, per puro caso, in visita a Camaiore da Riccardo Tommasi Ferroni, andai proprio con lui a vedere la mostra. E fu così l'autore a riconoscersi, a sorridere e a reclamare la paternità del disegno. Più tardi, amico di entrambi, feci incontrare il pittore e Pedretti, senza riuscire a renderli amici, perché Pedretti non si voleva rassegnare a rinunciare al «suo» Leonardo. Ne seguì perfino un contenzioso giudiziario, perché un magistrato, sconoscendo l'euforia leonardesca di Pedretti, pensò a una truffa. Ma il truffato, oltre al pubblico, non era né Tommasi né Leonardo, bensì Pedretti, orfano dell'ennesimo Leonardo.

Ed eccoci all'ultima scoperta, resa nota nelle «cronache» del Corriere, e rinforzata con un convintissimo e doviziosissimo articolo esclusivo su Sette che annuncia: «Ritrovato dopo 500 anni il meraviglioso ritratto che Leonardo da Vinci fece a Isabella d'Este». Peccato che non ci sia il quadro, o meglio, ci sia la solita patacca, triste, sconfortante, inadeguata, senza neppure la parvenza dell'autografo, a danno di Leonardo e di quanti sarebbero felici di vedere almeno un'opera problematica come è stata, con minor clamore, quella Bella principessa pubblicata anche su Sette, proposta da Martin Kemp con un bel catalogo Allemandi e raccontata dal proprietario, il collezionista Peter Silverman, in un libro pubblicato da Piemme. Basta accostare l'immagine elegante e sofisticata di quest'ultima con quella goffa e bambagiosa, senza volume, senza chiaroscuro, presentata dal Corriere.

Corriere questa volta ingannato da un'esposizione in prima persona, con tanto di lettera e perizia di Pedretti, non ritenendo, anche per l'esperienza dell'autorevole studioso, di doversi consultare con altri, magari più sensibili ai valori pittorici e meno a misteri ed enigmi da risolvere: penso a Mina Gregori, ad Antonio Paolucci, a Carlo Bertelli, a Nicola Spinosa, a Pietro Marani, a Luisa Cogliati Arano. Pedretti è un formidabile studioso di carte, documenti, teorie, ma rispetto ai dipinti è un gatto nero cieco in una notte senza luna. Dottor Jekyll e Mister Hyde. Vede ciò che non c'è, ciò che pensa debba essere di Leonardo. Insieme alla condizione permanente di mistero che circonda l'artista, c'è anche la confusione delle fonti, che nasconde spesso interessi e illusioni mercantili. Pedretti insegue la scienza, i collezionisti il tesoro. Due percorsi diversi uniti dal tema del giallo, della scoperta.

Speculazione materiale che si confonde con speculazione intellettuale. Lo stesso intreccio di interessi intellettuali ed economici si è verificato nel Crocefisso attribuito a Michelangelo, improvvidamente acquistato dallo Stato per 3,2 milioni di euro. Peccato che il Crocefisso non fosse suo. Ai grandi nomi si aggiunge anche quello del Caravaggio, suprema sòla.

Nel caso del Leonardo in esame è instabile anche la proprietà ed è incerta e indefinita l'ubicazione. Non si capisce se per difendere la riservatezza, per timore di furti, per paura delle tasse, o per volontà di confondere le acque. Il dipinto infatti non è stato recuperato nei depositi di un museo e meglio studiato dopo un restauro, ma in una misteriosa e anonima «collezione privata di una famiglia italiana che vive tra il centro Italia e la svizzera tedesca (la cittadina di riferimento sarebbe Turci nel cantone di Argovia)», per non dire che la provenienza è Porta Portese, e la sede di esportazione abusiva (svizzera tedesca) è in un luogo che sfugge alla vincolante normativa italiana, benché si tratti di una crosta di nessun valore, naturalmente ritenuta preziosissima dai proprietari.

In sintesi si tratta di una modesta e tarda copia (neppure di Salaì o Melzi) del Ritratto di Isabella d'Este conservato al Louvre, mirabile disegno eseguito a carboncino e a pastello giallo, delle stesse identiche dimensioni. Certamente un omaggio a Leonardo.

A insospettire, oltre la coincidenza perfetta delle misure, devono essere, al confronto con l'originale, la debolezza del disegno, la totale assenza del volume dei capelli, il traballante travestimento in Santa Caterina. Una modesta testimonianza di devozione a Leonardo di cui Leonardo avrebbe sorriso.

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