La lezione di Bastiat Di protezionismo si può anche morire

Il pesciolino rosso delle slides con cui Matteo Renzi ha illustrato le sue proposte in economia ha colpito l'immaginazione di vari commentatori: e la cosa si può comprendere. L'attuale premier si muove mostrando una grande attenzione agli aspetti comunicativi. C'è il rischio, però, che la sua forza persuasiva poggi su poco o nulla, su argomenti fragili, su analisi infondate.
Per rinvenire principi utili ad esaminare i molti annunci degli ultimi giorni può allora essere opportuna la lettura di un testo che ha più di centocinquanta anni, i Sofismi economici di Frédéric Bastiat (Bayonne, 30 giugno 1801 – Roma, 24 dicembre 1850) riproposto dalle edizioni Libreria San Giorgio (euro 22, a cura di M. Liati), in cui lo studioso francese prende di mira - anche utilizzando le armi dell'ironia - la fallacia argomentativa di tante tesi. Al centro del volume c'è soprattutto il tema del protezionismo e della libera circolazione delle merci, ma a ben guardare quello è soltanto il punto di partenza per una critica spietata di ogni interventismo: di taglio socialista o conservatore.
Colpisce quanto forte sia la continuità fra lo statalismo messo sotto processo dall'economista francese all'indomani della fine della Monarchia di Luglio e molta parte della retorica che domina la politica italiana da tempo e che Renzi ha riproposto con grande enfasi. Resta evidente, in particolare, l'illusione che il governo e la spesa pubblica possano giocare quali fattori di tutela e garanzia di imprese, famiglie, posti di lavoro. Nella Francia di metà Ottocento ci si illudeva soprattutto di salvare la produzione nazionale elevando barriere di fronte alla concorrenza straniera, mentre ora - pur persistendo misure protezionistiche soprattutto a livello dell'Unione europea - l'attenzione si focalizza di più sulla tutela dei lavoratori, che con qualche decreto legge si vorrebbe salvare dal rischio della disoccupazione e della povertà.
Il guaio è che l'illusione di una protezione assoluta provoca disastri. Nell'Ottocento si volevano soprattutto chiudere le frontiere per preservare l'industria nazionale (a scapito dei consumatori), mentre ora si vuole assicurare un reddito con programmi di Stato (a scapito dei contribuenti). In entrambi in casi la politica finisce in un modo o nell'altro per minare i diritti di proprietà, sovvertendo l'ordine naturale degli scambi, dei prezzi di mercato, dell'integrazione spontanea basata su contratti.
Bastiat fu assai lucido nella sua analisi, sottolineando che «la protezione distribuisce in un punto i benefici che fa, e distribuisce sulla massa il male che provoca». Da questo discende che la protezione è sempre frutto di un'azione politica lobbystica, la quale vede una minoranza più forte e determinata prevalere sul resto della società.
Non tutto, nel programma di Matteo Renzi, discende da schemi demagogici destinati soltanto a esiti discutibili. Ma nonostante la retorica da «rottamatore» in quelle c'è davvero ben poco che prenda le distanze dalle tesi e dai progetti dei predecessori. Che senso ha, ad esempio, l'idea di un salario minimo? Le leggi economiche non sono aggirabili, e se un salario viene artificiosamente elevato, quella che si viene a produrre è una disoccupazione altrimenti superabile. Chi in un mercato del lavoro meno regolato è assunto a 80, non è detto che trovi o mantenga quel lavoro quando l'impresa è costretta a pagarlo 100. E che dire delle tasse sulle rendite? Per Bastiat, che pure scrive quando il potere tassava enormemente meno che ora, era chiaro che la spoliazione «non ridistribuisce soltanto la ricchezza: essa ne distrugge sempre una parte». L'economia finanziaria avrà solo a patire da tutto questo incremento del prelievo, e per giunta è negativo che l'attuale maggioranza abbia ceduto alla demagogia classista di chi ritiene che vi debba essere un favore pregiudiziale per le scelte a favore dei più poveri e contro i più ricchi.
È infine disastrosa l'intenzione di rilanciare l'edilizia popolare, che non soltanto ha rappresentato uno dei fallimenti più clamorosi del Novecento, ma che ancora una volta toglie ad alcuni per dare ad altri. Come Bastiat illustra assai bene, però, i processi redistributivi ledono ogni autentico principio di giustizia e, oltre a ciò, minano le basi dell'economia.

Quello che caratterizza dunque una società statalista è «lo sforzo costante dei suoi membri di vivere alle spese gli uni degli altri».
A Bastiat era chiara l'esigenza di dover combattere spesa pubblica e parassitismo, ma la nostra classe politica è lontana dall'avere inteso queste verità elementari.

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