Cultura e Spettacoli

L'ordine del "tutti a casa"? Ce lo diede un inglese

Dick Mallaby trasmise le comunicazioni tra la base alleata di Algeri e Roma. E accompagnò il Re e Badoglio in fuga sulla "Baionetta"

L'ordine del "tutti a casa"? Ce lo diede un inglese

È uno dei momenti più tragici, farseschi e studiati della storia italiana. L'8 settembre 1943, infatti, accadde di tutto. Un pasticciaccio brutto in cui gli alleati annunciano da Radio Algeri - alle 18,30 - attraverso la stentorea voce del generale Dwight D. Eisenhower l'armistizio con l'Italia siglato pochi giorni prima (il 3 settembre) a Cassibile cogliendo di sorpresa un'intera nazione, ma non i tedeschi che avevano gia predisposto l'operazione Achse. Un pasticciaccio brutto in cui la prima voce italiana che annuncia al regio esercito che è tutto cambiato arriva soltanto un'ora dopo, via radio. È quella molto meno stentorea del maresciallo Badoglio il quale balbettando in un quasi italiano sulle frequenze dell'Eiar dà l'incomprensibile e lacunosissimo ordine: «Ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».

Come sia andata a finire subito dopo è cosa arcinota. L'avanzata dei tedeschi verso Roma, il caos del «tutti a casa», la disperata resistenza di quei pochi reparti che riuscirono a reagire nonostante fossero rimasti senza ordini, la fuga del Re e della corte sulla nave «Baionetta». E, dopo la guerra, il rimpallo delle responsabilità di quel disastro. Badoglio e i generali italiani hanno sempre sostenuto di esser stati presi alla sprovvista dalla volontà angloamericana di accelerare i tempi. Eisenhower e i suoi hanno sempre sostenuto che il coordinamento disastroso sia tutto dipeso dai tentennamenti degli italiani.

A settant'anni di distanza è arrivato un bel saggio, in libreria a breve, che aiuta a fissare dei punti fermi su ciò che avvenne in quelle ore. Lo ha scritto Gianluca Barneschi e si intitola L'inglese che viaggiò con il Re e Badoglio. La missione dell'agente speciale Dick Mallaby (Libreria Editrice Goriziana, pagg. 290).

Dick Mallaby è un personaggio a lungo rimasto sullo sfondo ma è l'agente del SOE (Special Operations Executive) che materialmente trasmise tutte le comunicazioni tra la base alleata di Algeri e Roma. Non che Mallaby (cresciuto in Italia, poliglotta e di bell'aspetto) fosse stato mandato da noi per questo. Gli inglesi avevano tentato di paracadutarlo con radio e cifrari vicino al lago di Como per organizzare i primordi della Resistenza. Ma l'operazione era temeraria e organizzata in maniera cialtronesca. Gli italiani lo catturarono subito, scoprendo tutta la sua attrezzatura da 007. Sarebbe quasi di sicuro finito al muro. Ma a salvarlo intervennero proprio le trattative di resa che erano già in corso in Portogallo. Il generale Giuseppe Castellano e il diplomatico Franco Montanari avevano bisogno di un modo sicuro e criptato di comunicare con gli angloamericani. Qualcuno nell'entourage del generale Kenneth Strong disse che bastava consegnare agli italiani una delle loro radio per comunicazioni segrete. Ma chi sarebbe stato capace di usarla? C'era l'agente Mallaby che gli italiani avevano appena catturato, lui quelle apparecchiature le maneggiava a occhi chiusi.

Così il giovane Mallaby invece di finire davanti al plotone d'esecuzione si ritrovò a Roma, circondato dagli alti gradi dell'esercito italiano che gli dettavano messaggi da trasmettere, cifrati, alla base di Algeri. Il lavoro risultò subito complicatissimo: causa cifrari e metodo “improvvisato” a volte un messaggio lungo doveva essere spezzato in decine di parti. E in certi casi la decrittazione richiedeva alcune ore. Le comunicazioni risultavano spesso un dialogo tra sordi, pieno di messaggi accavallati e incomprensibili. Ma analizzando la documentazione di svariati archivi britannici e italiani e le carte private di Mallaby, che lavorava giorno e notte, qualcosa risulta abbastanza chiaro. Una serie di messaggi (altri sono andati perduti) provano chiaramente che gli italiani nicchiarono intenzionalmente sulla cruciale questione di far sbarcare paracadutisti alleati negli aeroporti attorno a Roma. Il 7 settembre, a esempio, il messaggio cifrato numero 9 degli angloamericani parla di «Estrema imminenza delle operazioni». E gli italiani invece stavano ancora prendendo tempo. E quando alle 0,15 dell'8 settembre giunse il messaggio degli alleati che recitava: «Il comandante in capo... chiede che l'ultimo paragrafo del Proclama sia cambiato in “conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare”...» avrebbe dovuto essere chiaro a tutti che «Ike» non aveva alcuna intenzione di tergiversare.

Ma anche quando la corte era ormai in fuga, seguita da un Mallaby che continuava a criptare e decriptare messaggi, il pasticciaccio brutto continuò. A quel punto, come scrive Barneschi: «L'ossessione per la segretezza dei vertici italiani causò l'omissione di informazioni ai soggetti utilmente coinvolgibili». Persino il numero di persone da imbarcare sulla «Baionetta» per la poco onorevole fuga verso Brindisi non era stato programmato, testimonia Mallaby. E molti rimasero a terra.

Insomma, se gli angloamericani sospettosi esitavano a considerare gli italiani dei validi cobelligeranti, ci pensarono la Corte e gli alti comandi a rassicurarli che non lo erano affatto.

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