da Venezia
Ormai è diventata una caccia al tesoro con padiglioni sparsi per tutta Venezia che costringono il visitatore a uno sforzo supplementare e a dedicare almeno un giorno della visita in Biennale alle presenze straniere, almeno per chi ama la completezza. Nonostante la crescita esponenziale, con new entries che a ogni edizione vanno a modificare la complessa geografia dell'arte, la crisi si respira anche da questi parti; basti prendere il vaporetto sul Canal Grande e rispetto al passato sembra essersi ridotta la quantità di drappi rossi che segnala quei palazzi che ospitano padiglioni stranieri o mostre collaterali. Per cui la ricerca è ancor più faticosa, tra calli e canali, ma qualche volta può valere davvero la pena, come nel caso dell'Islanda con Katrin Sigurdardottir a Palazzo Zenobio, la collettiva di giovani iracheni a Ca' Dandolo e soprattutto l'Irlanda con Richard Mosse al Fondaco Marcello, un'installazione a raggi infrarossi realizzata in Congo, in un teatro di guerra.
Per chi si accontenta degli spazi tradizionali, ai Giardini e all'Arsenale, la scelta è comunque ampia. Ma, forse proprio per la proposta organica del Palazzo Enciclopedico, quest'anno soffriamo non solo l'eccessiva disomogeneità stilistica tra i vari Paesi, con differenze troppo evidenti tra i promossi e i bocciati e una qualità media non eccelsa. Buona parte delle nazioni punta sull'effetto Luna park, presentando il proprio giocattolone allestito senza risparmiare in effettacci grotteschi e kitsch. Il clima che si respira, più che ad una mostra d'arte, assomiglia a quello di un Expo commerciale dove si allestiscono scenografie spettacolari e ritrovati tecnologici, segno che l'arte, se non è accompagnata da una forte impronta curatoriale, può davvero confondersi con i mobili dell'Ikea o con le applicazioni per tablet o pc. Non bastasse l'effetto fiera c'è chi ama complicare la vita al pubblico, e allora il Padiglione della Francia diventa quello della Germania, che però ospita artisti da paesi lontani, tra cui il sopravvalutatissimo cinese Ai Weiwei; viceversa nello spazio adibito al Padiglione tedesco è stato invitato un artista albanese, Anri Sala, in rappresentanza della Francia. Se qualcuno non ha capito non se la prenda con chi scrive.
La questione del denaro attraversa trasversalmente diversi Paesi ai Giardini. La Russia, che per tradizione fa mostre sempre piuttosto scanzonate, espone la performance di Vadim Zakharov dove il pubblico femminile è invitato a proteggersi da una pioggia di monete d'oro che simboleggia vanità e nuova ricchezza, mentre l'eccellente inglese Jeremy Deller si prende la rivincita contro lo yacht di Roman Abramovich che nel 2011 si era ormeggiato al molo dei Giardini suscitando le ire dei veneziani, facendolo scaraventare nella laguna da un iracondo gigante.
Meno convincenti del solito Israele, Canada e soprattutto il Padiglione Usa che dedica la personale alla scultrice Sarah Sze intervenuta sullo spazio modificandone l'andamento con una serie di macchine celibi non particolarmente originali, a differenza dell'artista belga, una signora di gran classe, Berlinde de Bruyckere che mostra la metamorfosi di un enorme albero abbattuto e che per questa drammatica installazione ha voluto essere accompagnata da un testo del premio Nobel John M. Coetzee. Ancora di distruzione parla il Giappone, rievocando lo tsunami con Koki Tanaka, mentre di ben altro spirito è lo svizzero Valentin Carron, datosi la pena di restaurare un vecchio motorino Ciao Piaggio in nome di un fantomatico appropriazionismo.
In quanto ai Padiglioni allestiti all'Arsenale il migliore è senz'altro (e non è la prima volta) quello cileno con un bellissimo lavoro di Alfredo Jaar: in mezzo alla sala una grande vasca da cui emerge, a cadenze temporali predeterminate, il plastico delle sedi espositive che ospiterebbero la Biennale in un prossimo futuro nello scenario di una Venezia immersa dalle acque. Da segnalare anche il lavoro del turco Ali Kazma, una videoinstallazione sulla resistenza del corpo, e quello dell'argentino Nicola Costantino sulla controversa, ma molto amata, figura di Eva Peron.
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