Il maestro Dorfles in cattedra Ma nella scuola materna

Il grande critico e pittore, a 103 anni ha tenuto una lezione ai bambini di tre. Che avevano rifatto le sue opere

Il maestro Dorfles in cattedra Ma nella scuola materna

Come si fa dipingere? «Beh, prima si scelgono i colori. Si prepara la tela o la carta, e poi si decide se usare il pennello, o il rullo. O le dita magari». E poi? «Si inventa». Come la nuvoletta del pensiero nei fumetti? «Qualcosa del genere». Ma chi è un artista? «Uno che cerca di fare una cosa strana, che non è mai stata fatta prima».

Una vita passata a dire cose strane che non erano mai state dette prima, Gillo Dorfles - impeccabilmente démodé, come tutte le persone davvero eleganti, camicia a quadretti, cravatta regimental, giacca jacquard, pantaloni beige e naso imponente - ieri mattina ha fatto la cosa più strana di tutte, che non aveva mai fatto. E, come succede in casi simili, gli è riuscita benissimo. Ha tenuto, invitato dalla Scuola Materna di via Bezzecca a Milano, una lezione sull’arte. Ai bambini di tre anni. Il Maestro ne ha 103. Tra di loro un secolo e una comprensione perfetta. A spingere i primi è la curiosità per il mondo, a tenere attaccato alla vita il secondo, è il medesimo istinto.

Critico, storico, filosofo e artista, un secolo in curiosa e costante osservazione della creatività - ha visto passare davanti ai suoi occhi, sempre senza occhiali, l’astrattismo, il Dada, l’Informale, l’Action Painting, la Pop Art, il Concettuale, l’Arte Povera, la Transavanguardia, la Videoarte e la Net-Art, da Kandinsky a Marina Abramovich - Gillo Dorfles prosegue imperterrito e giovanissimo il suo viaggio di esplorazione del Bello e del Cattivo Gusto. Presenzia ai vernissage mondani, va alla Scala in metropolitana, tiene conferenze all’estero, scrive, va al cinema. «L’unica cosa che non faccio è vedere la televisione, a parte i tg. Non si capisce perché non fanno programmi culturali, non dico tutto il giorno... Ma almeno una volta la settimana. Non c’è curiosità. La tv avrebbe molto da imparare da loro...».

«Loro» sono i bambini di tre, quattro e cinque anni della Scuola Materna Bezzecca, i piccoli, i mezzani e i grandi che hanno visto e poi rifatto con i loro colori e i loro pennelli le opere di Gillo Dorfles, quelle esposte nella grande mostra di Palazzo Reale due anni fa. Una maestra della classe dei «gialli», Antonella Massara, ha fatto esercitare i bimbi sulle Forme avverse di Dorfles, poi come accade in tutte le scuole, i bimbi hanno appeso i loro capolavori in corridoio. Una mattina passa un papà, li vede, riconosce l’imprinting, parla con la maestra, lei conferma che sì, si sono ispirati ai quadri di Dorfles, e il papà - curioso e strano come i bambini, e come Dorfles - un’altra mattina, ieri, ha portato il Maestro a parlare con gli allievi.

E il Maestro ha riconosciuto le sue «strane» forme, con il giallo e il vermiglione che contrastano pacificamente col verde e col viola, ha visto un suo antico mostro antropomorfo che, dal fondo di una macchia color sangue, lo fissa con un occhio solo, nero e lilla... «È il ciclope» gli spiega Giuseppe, tre anni, dei «verdi». Gillo, 103 anni, un velo di rosso sulle guance, lo disegnò la prima volta negli anni Trenta.

Nel grande salone della scuola fluttuano forme-di-mostri, forme-giardino, forme-pirati, spazi, colori, linee, contrasti. Insegnamenti. I piccoli, imbeccati dalle maestre, fanno domande come i grandi, e il grande, facendosele ripetere dalle maestre vicino all’orecchio, risponde come un piccolo. Cosa serve per essere un artista? «Molta pazienza». Come si fa a diventare un pittore? «Continuando anche da grandi a giocare coi colori come da piccoli». Bisogna studiare? «Anche copiare, in verità».

Una maestra chiede come si può spiegare ai bambini cos’è il kitsch. E il grande studioso del kitsch ci pensa un attimo. «È meglio che non lo sappiano, per ora». Pausa. «Tanto lo capiranno presto».

Di ogni bambino che gli regala il proprio disegno, Dorfles chiede il nome per educazione, il colore della classe per deformazione professionale, e cosa vuole fare da grande per curiosità umana. Tutti vogliono fare l’artista. «Troppi. Di artisti ne bastano pochi». Filippo, tre anni, gli fa notare che i suoi disegni sembrano dei fantasmi che si muovono. E Greta, quattro anni, gli dice che i suoi quadri sono strani. Silenzio. «Avete ragione. Ma sono le cose che vedo con la testa e con il cuore». Applaudono loro, e applaude anche lui. «È consolante vedere questi bambini, e queste maestre. Se tutto il Paese fosse così... Mah, non voglio illudervi, non voglio illudermi però».

Nell’illusione, da un secolo, di poter cogliere tutte le oscillazioni del gusto, nell’arte, nel design, nell’architettura, nella moda e nelle mode, Gillo Dorfles, come tutti i giovani, tende a dimenticare il passato, per fare spazio al presente e tenere ancora un po’ di posto per il futuro. E nel futuro ci sono ancora un sacco di articoli da scrivere, di concerti da ascoltare, di esposizioni da inaugurare, come la sua grande mostra sul Kitsch che si aprirà tra pochi giorni alla Triennale di Milano. E di opere da lasciare per questi bambini, quando saranno grandi.

Come il documentario che Maria Elisabetta Marelli sta girando sul concetto estetico-filosofico più ambizioso di Dorfles, l’Horror pleni, cioè lo sgomento dell’epoca moderna di fronte al sovraccarico, sempre più superficiale e frammentato, di segni e comunicazioni, dall’onnipresenza dei computer ai graffiti urbani. Troppi messaggi, troppo rumore, nessun senso.

Ci salveranno i silenziosi scarabocchi dei bambini.

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