S'intitola «Malaparte. Vite e leggende», ed è la biografia del grande scrittore toscano Curzio Malaparte (in arte Kurt Erich Suckert, 1898 - 1957), firmata da Maurizio Serra. Uscito prima in francese, dove nel 2011 ha vinto il prestigioso premio Goncourt de la Biographie, il libro è ora pubblicato da Marsilio (pagg. 594, euro 25, in libreria da mercoledì). Per concessione dell'editore, pubblichiamo un brano dell'ultimo capitolo, dedicato alla celebre casa che Malaparte costruì a Capri, su un irto promontorio roccioso a picco sul mare. La battezzò «Casa come me».
«Oggi più che mai mi sento come un uccello che abbia ingoiato la propria gabbia...»: Hölderlin non avrebbe sconfessato la metafora che Malaparte coniò nella prefazione alla seconda edizione di
Fughe in prigione per descrivere il suo stato d’animo,quando concepì questa casa «triste, dura e severa »,a sua immagine.Il punto di partenza era lo choc dell’arresto, allorché fu strappato da una camera d’albergo per precipitare in una cella di Regina Coeli, senza conoscere per giorni la sua sorte; eleggendo lui il suo carcere, trasformava il traumatismo in terapia. Ma la riflessione si allargava al destino che attende l’uomo,quando accetta di rinunciare alla propria libertà interiore. Chatwin ha scritto che «Casa come Me»«era intesa a soddisfare la sua “ malinconica nostalgia di spazio” e insieme a riprodurre, grandiosamente, le condizioni del suo esilio a Lipari». Possiamo concordare: a parte la malinconia, che Malaparte riserva in genere solo ai suoi versi, quasi sempre pessimi. Ma Chatwin ci sembra aver torto, quando subito dopo introduce la nozione fuorviante di «self-love among ruins». Ecco, ancora una volta, Malaparte arruolato nella categoria dei passatisti, con la quale ebbe assai poco da spartire. No, Narciso non è venuto qui a ritagliarsi un ultimo spicchio di felicità prima della marea notturna. Non è qui che vuole vendicarsi della banalità delle origini, o difendersi contro la marcia del progresso, che tutto ingoia e digerisce. Queste mura non esalano amarezza, non vi spirano refoli di premortuaria decadenza. Qui tutto è squadrato, netto, visibile, senza alcunché di molle e d’incerto;tutto è scomodo, della scomodità fatta per durare.
Chi l’ha concepita, è un uomo checontrolla corpo e mente; ha trovato un luogo che gli somiglia, e nessuno potrà strapparglielo. Dieci nuovi proprietari potranno prendere possesso di queste mura e incidervi il loro nome: non diventerà mai «Casa come un altro».
Nessun dubbio che essa sia stata concepita, realizzata e ammobiliata fin nei minimi dettagli, secondo i voleri di Malaparte. Consigli, suggerimenti, proposte che ricevette nel corso dei lavori furono subordinati a questo disegno. Da lì, i controversi rapporti con un maestro del razionalismo come Adalberto Libera. Quel che sappiamo è che Malaparte trattava imprese edili, capomastri, artigiani allo stesso modo dei suoi traduttori, bombardandoli di critiche, di osservazioni, impicciandosi di tutto, volendo sempre spuntarla lui e riuscendoci quasi sempre. Metteva la casa sullo stesso piano dei suoi libri, sì da farne un vero e proprio autoritratto in pietra; ed è chiaro che non poteva dividerne la titolarità con altri. [...] Nata dal suo cerebro ed edificata con le sue sole forze, «Casa come Me » fu spesso soprannominata «Casa Matta»,non nel senso delle «follie» architettoniche di moda nell’Ottocento, bensì proprio in quello di bunker militare, una replica di quei fortini e ripari scavati nella roccia o a fior di terreno che pullulano in tutta la geografia europea della Grande guerra: i loro disgraziati occupanti impazzivano sul serio a subire inermi il fuoco nemico. Anche per questo motivo, non si può certo chiamarla «villa», come fanno ancora molte pubblicazioni e guide turistiche. L’interessato respingeva sdegnosamente un termine che evocava piaceri vacanzieri e l’aborrito riposo.
[...]Negli ultimi anni, per farsi pubblicità o, più probabilmente, per bisogno di soldi, aveva pensato di trasformar- la in locale notturno, con l’allora obbligatoria orchestrina cubana o brasiliana, ristorante e pista da ballo istoriata di marmi provenienti dallo yacht dell’ex re dei re Faruq d’Egitto. Passava ore a discutere con Jacques Baldi il menù delle vivande e l’uniforme del personale. Per fortuna della sua gloria postuma, non se ne fece nulla. Ma una deflorazione simile sarebbe stata inconcepibile qui, dove il tempo e lo spazio si incontrano al punto da rendere l’uomo quasi superfluo. «Credo che in nessun altro luogo come su questo divano addossato al muro si possa provare una vertigine da onnipotenza. A condizione di restarci a lungo immobili con l’umiltà richiesta, avendo di fronte a sé, al di là dalle vetrate, lo spettacolo del cielo, delle rocce e del mare, come se nient’altro esistesse al mondo...» mi dice Alessia Rositani Suckert. Con suo marito Niccolò, lotta da anni con tutte le sue energie, che per fortuna sono molte, per salvare dal degrado e dall’abbandono, in nome dell’orgoglio familiare e dell’amore del Bello, questo vascello a lungo saccheggiato dalle scorribande dei pirati della costa. Per molti anni,«Casa come Me»restò infatti sotto amministrazione giudiziaria controllata, ossia italico more senza controllo, umiliata dall’incuria e dal vandalismo. La casa fu saccheggiata più volte e molti carteggi, manoscritti, album fotografici, allora trafugati, rispuntano di tanto in tanto, veri o falsi che siano, in qualche vendita antiquaria.
Un personaggio della buona società napoletana si vantava ancora recentemente di una spedizione amorosa in gioventù, nel corsodella quale aveva forzato la porta d’ingresso per offrire un brivido romantico a una nordica preda che lo aveva accompagnato sin lì. Sembra la rivincita degli schiavi della Pelle sui loro padroni di allora...
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