"Man Ray? L'ironia al (contro) potere"

A Villa Manin di Passariano grande mostra sul celebre artista. Ne parla il gallerista esperto in Dadaismo

"Man Ray? L'ironia al (contro) potere"

da Codroipo (Udine)

«Adesso le femministe si arrabbieranno. E forse, in parte, avranno ragione perché Man Ray per anni è stato accusato di aver trasformato i corpi delle donne in oggetti, bellissimi e affascinanti, ma pur sempre accessori con cui giocare a fare arte. La verità è un'altra: Man Ray sublima il voyeurismo, Man Ray esalta il potere del corpo femminile». In effetti le tante muse-amanti - Meret Oppenheim in primis , e non a caso Martina Corgnati le dedica l'intensa biografia, ora in uscita per Johan&Levi, dal titolo Afferrare la vita per la coda - tutto furono tranne corpi nudi prestati all'obbiettivo (estetico e carnale) dell'artista. Ne è convinto Francis Naumann, settant'anni portati in grande stile, celebre gallerista e tra i principali studiosi di Dadaismo e Surrealismo. Con la moglie, il figlio e il fratello gemello custodisce nella sede sulla 57ª strada, a New York, molte famose opere di Duchamps, Picabia e di vari contemporanei tra cui Ai Weiwei. Lo incontriamo mentre è di passaggio in Italia: ha appena concesso alcuni significativi lavori per la mostra «Man Ray a Villa Manin» (catalogo Skira). Fino all'11 gennaio, nella villa di Passariano di Codroipo che appartenne all'ultimo doge di Venezia e che oggi è uno spazio espositivo attento all'arte del '900, si celebra la potenza creatrice di Man Ray. Grazie anche ai prestiti della Fondazione Marconi di Milano, sono esposti oltre 300 tra disegni, dipinti, foto e video, con molti eventi collaterali legati al cinema sperimentale (www.villamanin.it).

Francis Naumann, qui abbiamo un'ampia mostra su Man Ray, al Centre Pompidou di Parigi ha appena inaugurato un'esposizione su Marcel Duchamp: Dadaismo e Surrealismo continuano a piacere al grande pubblico.

«E ancor di più ai giovani artisti. È significativo che molti s'ispirino ai “ready-made” nella creazione di installazioni che combinano oggetti all'apparenza lontani tra loro, per cercare una nuova forma di bellezza. Ciò che piace di Man Ray è anche la poesia dal guizzo ironico nei titoli che sceglie per le sue opere. Questo stile ha influenzato molta produzione underground, oltre alla tv».

Che cosa intende?

«So che ora Mtv non è più di moda come anni fa, ma ricordo che nei primi videoclip, con le riprese che volevano distaccarsi dalle tradizionali inquadrature e con quel modo un po' dissacrante di mescolare generi diversi, ravvisavo continui riferimenti allo spirito dada. Per non parlare delle celebri “rayografie” di Man Ray, ottenute appoggiando oggetti comuni su carta fotografica sotto una fonte di luce: non lo trova un approccio che, mescolando innovazione e artigianato, ha profonda affinità con quello dei makers di oggi?».

Fotografo, scultore, regista, inventore: chi fu davvero Man Ray?

«Un pittore. Un aneddoto: era il '75, l'anno prima della sua morte, e gli scrissi una lettera perché volevo allestire per la mia prima galleria a New York una mostra sui suoi lavori su tela. Avevo gli studi sui nudi che sono ora esposti a Villa Manin e opere notevoli come Flying Duchman . Anche in questa esposizione occupa, giustamente, uno spazio a sé: mi stupisco sempre di come da una banale foto lui seppe dar forma a un quadro surreale, ironico fin nel titolo. E lo fece ritraendo solamente dei panni stesi al sole».

Che cosa rispose alla sua lettera?

«Non fece in tempo a vedere la mostra, ma fu felice dell'idea. Voleva essere ricordato come un pittore».

La sua galleria espone lavori di Ai Weiwei e lei ha accostato il suo lavoro allo spirito dada: una lettura un po' controcorrente dell'artista dissidente cinese.

«Lo so, è l'artista politicamente impegnato per eccellenza, ma lo furono a loro modo anche Man Ray e Duchamp. La loro arte, sprezzante e ironica, era una spina al fianco dell'ideologia dominante. Ai Weiwei ha una cifra stilistica simile».

Settimana prossima a Londra apre Frieze, fiera importante per l'arte contemporanea.

«Dovremmo cominciare a discutere dell'omologazione di tutti questi grossi eventi che movimentano curatori, artisti e galleristi. Mi ci metto in mezzo anch'io, sia chiaro.

Vedo troppe proposte vecchie: gli stessi organizzatori obbligano noi galleristi a proporre nomi già posizionati sul mercato. Se fai pagare un biglietto salato, vuoi andare sul sicuro. Ma così si offre alla gente ciò che già conosce e per i giovani sperimentatori, i novelli Man Ray, quello resta un mondo chiuso».

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