Un marchio non depositato che si può anche correggere

Da un bel pezzo la Natura è diventata un brand , cioè un marchio aereo, fluttuante, ipotetico, non depositato perché immateriale e impalpabile. È un brand fatto di suggestione e di senso di colpa: «oddio, quello no, è contronatura!». Ma dopo l'irruzione sul mercato dell'aggressiva sottomarca chiamata Bio, anch'essa aerea e fluttuante, applicabile a tutto, pomodori e cinture, polenta e giocattoli, il brand Natura è finito sugli scaffali troppo alti o troppo bassi dei centri commerciali. Scomodo da raggiungere, defilato e dunque trascurato. Tanto da generare il suo opposto, l'etichetta Contronatura (e noi del Giornale che facciamo «Controcultura», «Controcorrente» e «Controstorie», lo sappiamo bene). È l'uovo di Colombo: esorcizza l'atavico timore di opporsi alla physis degli antichi filosofi greci o al De rerum natura di Lucrezio, di andare contro il naturale ordine delle cose. È una sfida ultramodernista, una trasvalutazione dei valori conformisti per mostrare che essere contronatura è la cosa più naturale del mondo . E che cosa sono le copertine dei libri se non anch'esse etichette che presentano slogan e ingredienti? Applicarle alla letteratura, come ha fatto il nostro Massimiliano Parente con il romanzo Contronatura , è comprensibile e addirittura lodevole: in fondo la vita intera, letta con gli occhi dell'arte appare contronatura. Ma passando al piano della saggistica le cose cambiano anche dal punto di vista semantico.

Ed ecco, a esempio, emergere il pudore di un articolo fra parentesi in Contro (la) natura di Chicco Testa. Non buona, non giusta, non bella è la Natura, quindi matrigna, più che madre. Qui l'esorcismo, permeato da un sano (per quanto non Bio) realismo, è più arduo. Il che non toglie che sia necessario.

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