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Marx, un perdente di gran successo

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nostro inviato a Gorizia

Conta la teoria economica o la forza profetica? Conta aver cercato di spiegare la genesi del plusvalore o aver inventato un paradiso in terra e averlo propagandato? Sono tutte domande che ha senso porsi studiando l’opera di Karl Marx (1818-1883). Perché dietro al padre del materialismo storico c’è sempre e comunque il nipote di Marx Levi, il rabbino di Treviri... E nei testi di Marx, se la religione è fra i bersagli preferiti, il valore messianico, salvifico, della scrittura è indiscutibile. Per rendersene conto basta leggere passaggi come questo: «Qui non si tratta dell’obiettivo che questo o quel proletario o il proletariato nel suo insieme si propone di raggiungere. Si tratta invece di ciò che è, e di ciò che in conformità a questo essere deve necessariamente verificarsi nella storia». E poi di chi è Marx? Dei comunisti che l’hanno sempre rivendicato o di chi ne ha interpretato criticamente il pensiero?
Ecco perché ha senso interrogarsi su «Marx, profeta o utopista?» come hanno fatto ieri al festival goriziano èStoria il classicista e filologo Luciano Canfora, il presidente di Rcs libri Paolo Mieli, giornalista che ha fatto della divulgazione storica una vocazione, e Marcello Veneziani (l’incontro è stato coordinato dal contemporaneista Andrea Graziosi). Il «duello» a più voci (svoltosi in una tenda Erodo strabordante di persone) ha mostrato strane alleanze e profonde divergenze. Inaspettatamente il più tranchant è stato il moderatore. Secondo Graziosi «Marx è stato un bravo storico ma come profeta davvero scadente. Dal progressivo impoverimento del proletariato e della piccola borghesia, sino alla fine delle nazioni e all’abbassamento del tasso di profitto dei capitalisti: non ne ha azzeccata una... Se vediamo in lui del profetico oggi, è solo perché adesso c’è un po’ di crisi...».
Canfora invece gioca, ed era facile aspettarselo, in difesa: «La definizione di scienziato si addice a Marx perché studia l’economia e prevede e teorizza i cicli economici. Troviamo delle prese di posizione profetiche quasi solo nel Manifesto, testo pensato soprattutto in contrapposizione ai socialisti utopisti. Non erano davvero utopisti, però, in realtà erano dei gradualisti. Marx invece è più attento alla rivolta in atto tra 1847 e il ’48. Marx era come Mazzini, vedeva un’urgenza...». Su questo a non aver dubbi è Paolo Mieli: «Marx ebbe una fortuna: i moti del 1848 portarono a ben poco. Se si fosse trovato a capo di una rivoluzione vera, lui ed Engels avrebbero partorito qualche orrore simile a quelli prodotti da Lenin e Trockij perché l’idea di forzare la storia se si crede di avere uno schema scientifico, prende chiunque... Il Capitale nasce vent’anni dopo e nasce dal fallimento. È molto più ragionevole... Anzi Marx in esso a volte è libertario e antistatale».
Veneziani distingue intenzioni ed esiti: «Il comunismo è fallito, il marxismo invece si è impossessato dell’Occidente. Marx spesso è considerato o sconfitto dalla storia o tradito dalla storia, a seconda di chi lo guarda. Io credo che il marxismo si sia realizzato in Occidente almeno come spirito filosofico. Marx dice che il primato va alla prassi, e quel primato si è avverato a danno del pensiero. Si è realizzato in Occidente anche l’ateismo pratico, il suo anatema sul sacro ci ha portato alla secolarizzazione. L’internazionalismo è una profezia da globalizzazione... Certo, della parte costruttiva è rimasto ben poco». E sulla vitalità di Marx, Canfora «concorda», anche se, forse, non è la vitalità che vorrebbe lui.

Ma poi a coprire tutto provvedono gli applausi scroscianti. E mentre Canfora firma autografi, Marx continua a far capolino proiettato sul maxischermo. Non dà ragione a nessuno, del resto le statue sono così, hanno tutte la faccia di bronzo.

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