Mezza Italia votò il Re eppure la monarchia fu subito dimenticata

Mezza Italia votò il Re eppure la monarchia fu subito dimenticata

di Mario Cervi
Forse non l'avete notato, ma in questi tempi di acceso e amaro dibattito sui destini d'Italia e sulle riforme istituzionali da adottare manca all'appello un tema che, stando alla storia patria, dovrebbe essere, se non dominante, almeno rilevante. Il tema della scelta tra monarchia e repubblica che dominante fu di sicuro 67 anni or sono, quando al popolo spettò di decidere cosa volesse. Quasi la metà dei votanti si pronunciò per la monarchia. Di quell'imponente esercito elettorale oggi non rimane nulla.
È vero che la Costituzione italiana pretende l'irreversibilità della scelta repubblicana fatta il 2 giugno 1946. Ma le perennità delle leggi sono sempre provvisorie. Se davvero la corona avesse significato ancora qualcosa in questi ultimi decenni e significasse ancora qualcosa adesso ce ne saremmo accorti. Invece zero. Gli italiani disistimano la Repubblica, i suoi partiti, le sue leggi, ma se ambiscono al nuovo lo vedono nelle mattane del grillismo, non in un ritorno ai solidi valori tradizionali della monarchia. Semmai ci sono nostalgie per il fascismo, per il suo Dux. Il Rex rimane invece confinato nella Nomenklatura marittima. Non che manchino, nell'ambito storico e culturale, ricordi e rimpianti. Ma coinvolgono gruppi o gruppuscoli. A me pare che i Borbone di Napoli abbiano una tifoseria più numerosa o almeno più chiassosa - nel nome di un meridionalismo spavaldo - di quella spettante ai Savoia. Queste considerazioni mi sono venute a mente perché il professor Aldo A. Mola, piemontese purosangue e sabaudo convinto, mi ha segnalato un anniversario di questi giorni. Trent'anni fa, il 18 marzo 1983, si spegneva a Ginevra Umberto II, ultimo re d'Italia. Per onorarne la memoria i fedeli del re e gli studiosi di quel tempo infuocato sono stati invitati ieri a un convegno nel santuario di Vicoforte nel cuneese. Bella e opportuna l'iniziativa. Quel sovrano malinconico che ha galleggiato sugli avvenimenti anziché determinarli, ma che ne fu ugualmente protagonista, merita l'attenzione degli storici.
La merita per la sua tormentata biografia e anche per l'interrogativo cui ho più sopra accennato, e che ripropongo. Come mai la mezza Italia monarchica si è liquefatta? Mi azzardo grossolanamente a rispondere che la mezza italia monarchica non era monarchica. O se aveva una monarchia nel cuore era quella di Franceschiello. Al Savoia andarono massicciamente i voti meridionali, ossia delle regioni dove più incalzanti sono adesso le polemiche contro i piemontesi oppressori e assassini, e dove l'amministrazione borbonica viene generosamente descritta come saggia e illuminata. I borbonici votarono per il sabaudo, e i sabaudi votarono in larga maggioranza per la repubblica.
Gli è che nel referendum la maggior parte dei voti monarchici non venne da fedeli del re o da estimatori dell'istituzione da lui impersonata. Venne dai moderati - sempre maggioritari in Italia, Grillo o non Grillo - che immaginavano con angoscia un domani affidato ai vocianti agitprop della sinistra. Poi, instaurata la repubblica e affidata a personaggi come Luigi Einaudi e Alcide De Gasperi, i moderati capirono in fretta che la Dc, non la monarchia, era la loro tutela.

Da quel momento la fede monarchica fu da quasi tutti buttata alle ortiche. Ossia agli storici, il che fa lo stesso. La storia è maestra di vita, ma la vita se ne infischia della storia, quando le è d'intralcio. Grillo a Roma, Umberto II a Vicoforte.

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