Controcultura

Le mille luci sacre che riscaldano quelle terre desolate

Città, paesi e borghi oggi tenuti in ostaggio dall'emergenza attendo la liberazione

Le mille luci sacre che riscaldano quelle terre desolate

Quando, come un presagio, nell'estate del 2016 Christo impose la sua passerella sul Lago d'Iseo, marcando il confine tra realtà e finzione, a largo vantaggio di quest'ultima, io feci una mappa simile a quella che mi si chiede oggi. Delle tante cose che l'improvvisa ondata turistica, curiosa del nulla, non avrebbe visto in quelle fertili terre, tra Bergamo e Brescia, oggi così colpite. In un certo senso fu un virus anche Christo: perché, concentrato tutto su di sé, lasciò deserti quegli stessi luoghi sublimi che oggi sono stati chiusi, nel tentativo di proteggerci. Ma si è davvero protetti se non si passeggia sul lago a Pisogne, avviandoci verso la Chiesa della Madonna della Neve con gli affreschi di Romanino, con quella dolente e umanissima Crocefissione che io vidi la prima volta, bambino, nel 1964, andando a trovare mio zio Bruno, commissario agli esami di maturità a Iseo?
Partendo da Monte Isola, fermarsi a vedere le terme romane di Predore, affacciate sull'acqua in un suggestivo spazio miracolosamente recuperato. E di lì a Sarnico, con le meravigliose ville Liberty e le terrecotte e i ferri battuti di Alessandro Mazzucotelli. Appena più in là, Credaro, con una cappella affrescata da Lorenzo Lotto (che, da sola, vale cento volte l'opera di Christo). Di quest'ultimo grande artista non è perdibile in alcun modo la Cappella Suardi a Trescore Balneario, il cui rilievo nella storia dell'arte è pari a quello della Cappella Sistina di Michelangelo e delle Stanze Vaticane di Raffaello.
Dopo l'escursione a Trescore, a soli 12 chilometri da Sarnico, le meraviglie sono tutte sulle rive del lago: a Solto Collina, per vedere la Pieve di Santa Maria Assunta con l'organo di Andrea Fantoni e la Pala d'altare di Giambettino Cignaroli e, nella Cappella della Disciplina, il ciclo di affreschi di Giacomo Busca; e, ancora, gli affreschi quattrocenteschi di Gargarino nella Chiesa dei Santi Ippolito e Cassiano. Poco lontano, a Lovere, le belle collezioni dell'Accademia Tadini, con i dipinti di Jacopo Bellini, Francesco Benaglio, Carlo Francesco Nuvolone, Giacomo Ceruti, Francesco Hayez. Stiamo descrivendo luoghi perduti, inaccessibili, in terre che appaiono, non solo oggi, disabitate, e abbiamo indicato una serie di monumenti importanti ma marginali, episodici.
Andiamo invece a Brescia e Bergamo che, in un reale quadrilatero, con Piacenza e Cremona, sono l'epicentro di una grande rivoluzione artistica che va dal più importante maestro del Trecento, al tempo di Giotto, il maestro di Sant'Agata a Cremona, a Caravaggio che, di famiglia bergamasca, allievo di Simone Peterzano, celebrato in queste settimane vuote nell'Accademia Carrara di Bergamo, negli anni dalla sua formazione molto vide e apprese in quelle città. Oggi le troverebbe vuote e con le chiese e i musei chiusi. Le condizioni psicologiche si ritrovano identiche in Boccaccio come in Camus.
«Lasciamo stare che l'uno cittadino l'altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell'altro cura e i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano: era con sì fatto spavento questa tribulazione entrata ne' petti degli uomini e delle donne, che l'un fratello l'altro abbandonava e il zio il nipote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito; e (che maggior cosa è e quasi non credibile), li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano» (Boccaccio).
«La peste aveva ricoperto ogni cosa: non vi erano più destini individuali, ma una storia collettiva, la peste, e dei sentimenti condivisi da tutti. Il più forte era quello della separazione e dell'esilio, con tutto quanto comportava di paura e di rivolta» (Camus).
Deserti sono dunque i musei, le sale vuote con i fantasmi di quei dipinti che si guardano tra loro. Tra Brescia e Bergamo, nei primi decenni del '500 lavoravano gli artisti da cui Caravaggio imparò l'amore per la vita nel confronto con la realtà. Dobbiamo cercare Lorenzo Lotto a Bergamo nella Basilica di Santa Maria Maggiore, nelle Chiese di San Bartolomeo e di Santo Spirito. Ma è difficile vivere una vita felice senza aver visto la Pala di San Bernardino. Tutto quanto di più bello abbiamo visto e immaginato, Raffaello, Leonardo, Correggio, in una interpretazione lieve e animata dal vento degli angeli che sostengono la tenda verde per riparare la sacra famiglia, con un San Giuseppe mai così scontroso testimone di bellezza e di emozioni di santi devoti. Davanti a quel Santo molto sostò Caravaggio, meditando al suo per la Fuga in Egitto, dipinta a poco più di vent'anni. E, attraverso i suoi occhi, Giuseppe è davanti a noi, con le sue debolezze e le sue fragilità. E così sarà stato, entrando nella Chiesa di San Giovanni Evangelista a Brescia, davanti al San Matteo e alla Cena in casa del Fariseo di Romanino, vibranti di luce e di vita. E quali pensieri lo avranno inebriato davanti ai fastosi profeti del Moretto nella cappella del Santissimo Sacramento? Caravaggio prende un'altra misura davanti alla più sobria Cena in casa di Simone Fariseo del Moretto nella chiesa di Santa Maria in Calchera: un'altra Maddalena prostrata ai piedi di Gesù, nella verità delle sue vesti, delle sue carni e dei suoi capelli, e della cesta di frutta che viene portata a tavola.
La meraviglia si annida nei luoghi più vicini al virus. A Lodi nasce Callisto Piazza, che si muove tra Crema (Natività della Chiesa della Santissima Trinità), la Valcamonica: Esino, Breno, Erbanno; e perfino Codogno (Assunzione della Vergine della Collegiata di San Biagio). Il monumento imperdibile, a Lodi, è il Tempio dell'Incoronata, una costruzione a pianta ottagonale. L'interno accoglie affreschi, tavole e tele tra la fine del '400 e gli inizi dell'800; Bergognone, Piazza, Stefano Maria Legnani. A Crema, con le superbe Chiese di Santo Spirito, di Santa Chiara, di San Bernardino, della Santissima Trinità, imperdibile è il Santuario di Santa Maria della Croce. Qui le opere di Antonio e Bernardino Campi, essenziale testimonianza del tardo Manierismo, rimandano a uno dei monumenti più notevoli di un'altra città umiliata: Cremona. Dove, nella magnifica chiesa di San Sigismondo, generazioni di pittori si avvicendano per una decorazione dominata dall'horror vacui. Inizia Camillo Boccaccino, nel 1535, con gli affreschi dell'abside, e si muove ammiccando ai maestri di Parma, Correggio e Parmigianino. Nel 1539 lo affianca Giulio Campi, che dipinge la pala per l'altare maggiore con la Madonna con Bambino in gloria, con i santi Daria, Sigismondo, Girolamo e Crisante e con i Duchi Bianca Maria e Francesco Sforza. Alla morte di Boccaccino, nel 1545, arriva il sofisticato Bernardino Campi che affresca la finta cupola, con il Paradiso, il Padreterno, i patriarchi e i profeti biblici. In una delle cappelle laterali, capolavoro del Manierismo, è la sua tela con le Sante Cecilia e Caterina. L'opera, dipinta a Milano nel 1565, nella semplice composizione ha una eleganza rara nella resa dei dettagli, nei gioielli, nei tessuti, estremo omaggio a Parmigianino. A Cremona, Caravaggio frequentò la Cattedrale, con il gran teatro della Crocefissione del Pordenone. Quel «rumore e paura» che Michelangelo aveva fatto sentire nella volta della Cappella Sistina ritorna in questi affreschi potenti. Una vera precoce rivoluzione nella pittura del Nord Italia, concepita nell'anno della morte di Raffaello.
Da Cremona, Pordenone si sposta a Piacenza, dove dipinge, come un vento che sale impetuosamente verso il cielo, la cupola con il Padreterno. Il grande pittore dialoga con Parmigianino e con Giulio Romano, concorre con loro, porta Michelangelo nel cuore della Padania. Piacenza riserva anche un'altra cupola: quella del Duomo con gli affreschi di Guercino. Quelle cupole, negli anni conquistate con percorsi acrobatici, sono oggi vuote, distanti e silenziose, come, prigioniero nel Collegio Alberoni, guarda i muri vuoti il Cristo dolente di Antonello, uno dei dipinti più importanti conservati in Emilia Romagna.
Il percorso dei luoghi della nuova peste, lungamente disertati, dopo essere stati desolati, si chiude con la Deposizione del Pordenone per la chiesa dell'Annunciata di Cortemaggiore. Il Cristo è pietosamente deposto dai dolenti nel sarcofago. Le Marie raccolte si agitano come nel Compianto di Nicolò dell'Arca, mentre solitario si erge, nel suo dolore, san Giovanni. La Maddalena, come un animale ferito, si butta ai piedi di Cristo. Tutto avviene sotto una montagna di indicibile potenza; e qui l'uomo di teatro prevale. Pordenone infatti non la dipinge ma la fa emergere, con un leggero rialzo d'ombra nel contorno, dalla tela grossa, con la tecnica cosiddetta della «tela risparmiata» che ha energia, brutalità. Nessuno prima di lui aveva osato tanto, e soltanto Caravaggio oserà altrettanto nel suo grande telero con il Seppellimento di santa Lucia per Siracusa.


Tutto questo, e molto altro, c'è, per noi, ciechi nel tempo del Coronavirus.

Commenti