«Il mio blues per Mia Martini, uccisa dalla cattiveria»

Aldo Nove, l'ex cannibale, racconta le ultime ore della cantante prima del suicidio

«Il mio blues per Mia Martini, uccisa dalla cattiveria»

Si dice che sia un poeta-scrittore maledetto e nichilista, lui ribatte: «Mi annoia la superficialità, si vede che sono “pesante”, se guardo una commedia brillante mi addormento». Così Aldo Nove è andato a pescare una figura drammatica come Mia Martini e ne ha ricostruito la tragedia in Mi chiamo... (Skira, pagg. 125, 14 euro).

Lei sceglie sempre personaggi tormentati in cui riflettersi.
«Mia Martini è stata distrutta dall'ignoranza e dalla cattiveria della gente. Quando mi dissero che portava jella mi colpì vedere quanto ha sofferto. Una cosa inaccettabile in un mondo civile. Comunque la mia è una biografia romanzata, non confessional».

Lei come la definisce?
«La più grande cantante blues italiana, intendendo la sua capacità di tirar fuori l'anima. Ho raccontato la complessità del suo mondo che guardava all'America rock di Jim Morrison ma al tempo stesso alle radici mediterranee di Murolo e Gragnaniello. Quando è morta stava preparando un disco di cover di Tom Waits e Janis Joplin».

Dal libro sarà tratto uno spettacolo teatrale...
«Il libro si ispira a La voce umana di Cocteau che fu portato al cinema da Rossellini. Andrà in scena a Milano a giugno, in forma di monologo, con protagonista Erika Urban».

Ci sono dei paralleli tra la sua vita e quella di Mia Martini?
«Gli anni '60 e gli '80 sono molto diversi. Prima c'erano l'impegno e l'ingenuità; negli '80 tanta superficialità. Al liceo nel Varesotto c'erano solo paninari, fascisti e ciellini, io mi rifugiavo in Lou Reed, nell'anarchia distruttiva dei Cure e dei Joy Division e nelle letture».

Che tipo di letture?
«Mi sono formato con la filosofia classica tedesca, tanto Hegel e la sinistra hegeliana, da Feuerbach a Marx. E Schopenhauer, insomma tutto il contesto filosofico ottocentesco tedesco».

Lei ha detto di essersi formato anche con la pornografia.
«Oggi un ragazzo va su un sito e trova 5 milioni di film porno. Ai miei tempi si andava in una discarica a cercare i resti di qualche rivista pornografica. Era un modo di gestire il desiderio senza realizzarlo perché, come dice Tiziano Scarpa: “purtroppo a volte i desideri si avverano”».

Lei è stato protagonista della stagione dei «cannibali» come li ricorda?
«Fu un fenomeno mediatico nato da una strana alchimia reale. Siamo stati un gruppo di autori (Niccolò Ammaniti, Isabella Santacroce) che, attraverso il linguaggio, ha creato un presente inedito. Abbiamo rinnovato la letteratura ciascuno seguendo il suo percorso personale. Ad esempio io amo la poesia e Ammaniti no così come lui ama la narrativa contemporanea americana di cui io non so nulla».

Com'è il mondo degli scrittori e degli intellettuali oggi?
«Non esiste più. Ci sono diverse personalità isolate come Aldo Busi, Umberto Eco, Walter Siti, Nanni Balestrini che mi ha scoperto, ma non c'è più quella scena che poteva esserci fino a dieci anni fa».

Una ricetta per ricrearlo?
«Non lo so, io frequento personaggi dell'arte e della musica. Tra i miei migliori amici ci sono ultraottantenni come Arnaldo Pomodoro, da cui imparo il '900 che non conosco, e Arturo Schwarz che mi tiene in contatto con l'avanguardia».

Come si definisce?
«Uno che cerca di capire».

E la poesia?
«La poesia rappresenta la supremazia della parola. L'anno prossimo uscirà per Einaudi la mia raccolta Addio mio Novecento».

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