"Il mio romanzo gotico è un devoto omaggio alla cultura contadina"

"Il signor diavolo", di Pupi Avati, è un romanzo ambientato nel Polesine degli anni '50. E diventerà una serie televisiva

"Il mio romanzo gotico è un devoto omaggio alla cultura contadina"

Il rapporto fra la paura e il regista Pupi Avati è emerso in molti suoi film, da La casa dalle finestre che ridono a Zeder, da L'arcano incantatore a Il nascondiglio e torna a emergere nel suo ultimo romanzo, Il signor Diavolo (Guanda, pagg. 208, euro 16) che esplora le credenze cattoliche e le superstizioni contadine in una storia nera dal sapore gotico. Un romanzo cupo e tutt'altro che consolatorio.

Nel 1952 l'ispettore di Grazia e Giustizia Furio Momentè viene inviato in Veneto per fare luce sulla strana morte di Emilio Vestri Musy. Il ragazzo è stato ucciso con un colpo di fionda dal giovane Carlo Mongiorgi, il quale afferma che Emilio era un demonio e che il suo gesto omicida è nato dal desiderio di riportare in vita l'amico Paolino Osti, morto di malattia in circostanze misteriose. Il signor Diavolo, spiega lo stesso Avati, «è un progetto nato per il cinema ma che non si trasformerà in pellicola. L'unico genere di film che si produce in Italia facilmente è la commedia, contrariamente a quanto accadeva anni fa. Per cui se non scrivi una storia leggera che fa ridere nessuno te la produce. Sono stato in qualche modo risarcito dal fatto che ho potuto trasformare la mia storia in un romanzo e dal fatto che Sky produrrà presto una fiction a tema misterioso scritta da me. Si intitola Bare galleggianti».

Il titolo è inquietante...

«Racconto un fatto spaventoso che parzialmente è citato anche fra le pagine de Il signor Diavolo. Pochi si ricordano dell'alluvione che colpì il Polesine nel novembre del 1951. La gente di quelle terre si era a malapena risollevata dalla guerra, quando un'altra terribile tragedia si abbatté su di loro. Vennero travolti dall'acqua interi paesi. All'epoca io ero un ragazzo e vennero fatte collette nelle scuole per raccogliere soldi per la gente sfollata in quei luoghi. Ho voluto rievocare quel momento terribile raccontando la storia di due bare che dopo l'alluvione non si trovano più nel cimitero in cui erano sepolte».

Perché ha scritto Il signor Diavolo?

«Avevo nostalgia di semplicità e chiarezza. Volevo raccontare una storia che parlasse di male e bene come si poteva fare una volta. Soltanto chi in paese era credente e pio poteva sapere la differenza fra i due mondi. Soltanto i preti che avevano confidenza con ciò che si credeva un sapere superiore potevano permetterti di evitare di entrare in contatto con il male e il demonio. Soltanto loro potevano spiegare ai chierichetti chi fosse davvero il diavolo...».

Il mondo rurale spesso alimentava strane credenze...

«Nella cultura contadina le persone deformi erano guardate con sospetto. I matti, gli sciancati, gli affetti da idropisia erano visti con timore. Si pensava che la loro condizione fosse frutto di una punizione divina. E si credeva che certe persone strane fossero in grado di evocare talvolta i morti e richiamarli dall'Aldilà».

Perché il protagonista della sua storia è tutt'altro che un eroe?

«Volevo che Furio Momentè rappresentasse un po' lo stereotipo del democristiano dell'epoca. Il suo essere cattolico e impegnato in politica nella Dc è una vera e propria professione. Una posizione da cui ricava più vantaggi che svantaggi e che gli permette di fare carriera. Volevo che fosse un personaggio sgradevole. Ma da un certo punto in avanti ciò che gli accade è così tremendo da fare in modo che il lettore lo guardi con altri occhi. Ciò che lui patisce e il suo lento sprofondare nella follia viene condiviso. Anche l'essere più spregevole è stato bambino ed è stato innocente. Volevo fare in modo che i lettori lo capissero».

In tutte le sue opere troviamo nomi estremamente originali.

«Non li invento, li prendo dalla realtà. A casa mia c'è un'intera parete dove tengo i volti delle persone a me care che sono scomparse. La chiamo la via degli Angeli. Sono circa 150 ritratti. Ogni volta che faccio un film o scrivo un romanzo uso i loro nomi. È un modo per evocarli e averli con me. Mi ricordo le lunghe veglie di quando ero bambino in cui, invece che recitare i rosari, si ricordavano tutti i nomi dei morti e li si elencava ad alta voce».

Nel film d'animazione Coco della Pixar si sottolinea spesso che per la cultura messicana ricordare i morti permette loro di vivere nell'Aldilà e di convivere ancora in qualche modo con i vivi...

«Una volta questo sentimento era condiviso anche dalla cultura contadina italiana. Oggi è un po' come se avessimo cancellato questo speciale rapporto con i defunti».

Perché nelle sue storie i preti e le suore sono spesso personaggi misteriosi?

«Quando ero bambino erano gli unici che avessero un rapporto speciale con l'Aldilà. La messa veniva celebrata in latino e il prete dava le spalle ai fedeli. C'è una scena nel mio Le strelle nel fosso in cui il sacerdote del paese porta il messaggio di alcuni defunti ai parenti. Era un rapporto misterioso ed esclusivo, quello fra la chiesa e l'altro mondo».

Se dovesse attribuire un genere al suo romanzo, quale sceglierebbe?

«Ho definito Il signor Diavolo un romanzo del gotico maggiore, ispirandomi alla definizione di gotico rurale che ne ha dato acutamente lo scrittore e antropologo Eraldo Baldini.

In Italia la civiltà contadina ha sempre avuto un rapporto speciale con la paura e lo ha avuto anche il nostro cinema, con interpreti come Bava e Freda. Ho sempre avuto un legame positivo con la paura che credo stimoli la nostra creatività».

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