Storia d'assalto

Quel filo che legava il mondo arabo al terrorismo rosso

Dietro il terrorismo rosso in Europa si sono sempre celate frange armate palestinesi e potentati petroliferi. La Stasi lo sapeva, ma non frenò mai intrighi e attentati: perché?

Quel filo che legava il mondo arabo al terrorismo rosso

C’erano una volta la Stasi e il terrorismo rosso in Europa; che è sempre stato legato, a doppio filo e sempre rosso - per tradizione - alle frange armate della ex-Palestina "estirpata" dal Medio Oriente per volontà degli stessi imperi europei che ne avevano disegnato i labili confini. C’erano una volta i principi del petrolio e della sharia - come adesso -, che finanziavano chiunque si proponesse di combattere Israele. E poi c'era il Kgb, che districatosi in quella ragnatela di lunghi e intricati fili rossi, combatteva la guerra fredda con le proprie spie, augurandosi che oltre cortina scoppiasse il "caos". Lo stesso sogno nel cassetto della Cia, che dall’altra parte dell’oceano a Langley, o nelle gole dell’Afghanistan dove ancora si disputava il "il grande gioco", investiva denaro e acquistava armi in attesa che scoppiasse il caos a Mosca dopo un lento dissanguamento che l’avrebbe condotta verso il collasso economico.

Alla Stasi attendevano. Ma crollò prima il Muro di Berlino, e dopo di lui l'intera Unione Sovietica. Qualcosa tuttavia rimase intatto, nonostante il tentativo di distruggere ogni traccia del passato ordinato di vertici dei servizi segreti. Dossier che illustravano vie di fuga, depositi e fonti dove reperire armi, covi sicuri, programmi di addestramento militare per agenti segreti e "collaboratori politici", insieme a un mare di documenti falsi, e valige piene di denaro in ogni valuta utile per finanziare uomini con pochissimi scrupoli.

Si trattasse delle armi e degli esplosivi impiegati per diffondere il panico nel cosiddetto “Autunno tedesco”, dalle bombe a mano “ananas” come quelle lanciate tra i tavoli del Café de Paris di Via Veneto nel 1980 o di quelle al fosforo bianco impiegate da Settembre Nero durante il primo attentato di Fiumicino del 1973, passando per gli Ak-47 Kalashnikov onnipresenti dalle Olimpiadi di Monaco in poi, l’obiettivo era sempre quello di "destabilizzare il mondo occidentale" colpendo, sempre e comunque, gli amici di Israele. Tutto passava sotto gli occhi dei diversi mukhabarat - i servizi segreti dei regimi mediorientali - per finire nelle mani dei terroristi che agivano indisturbati sotto gli occhi degli agenti sovietici e dei loro “cugini” della DDR. Impedirlo? Forse si poteva, ma non quando il nemico ultimo era lo stesso. Così nascevano le “operazioni sporche”.

È questa la verità inquietante che viene fuori da quanto rimasto degli archivi del servizio di sicurezza più temuto nel mondo - almeno per quanto riguardava i cittadini che sorvegliava “zelantemente” -: la famigerata Stasi che all’ombra della cortina di ferro combatteva la sua crociata contro il blocco occidentale; fianco a fianco, o più spesso sotto l’ala e gli ordini impartiti dal Cremlino o dai vertici che sedevano ai piani alti della Lubjanka. Secondo quanto riportato nell’interessante compendio firmato Gianluca Falanga (Al di là del muro: la Stasi e il terrorismo, edito da Nuova Argos), dietro il terrorismo degli anni Settanta - dalla Rote Armee Fraktion alle Brigate Rosse - fin troppo spesso si nascondeva proprio la longa manus dell’antisionismo finanziato dai padroni dell’oro nero. Poi nel mirino dei giovani adepti europei, però, finivano l’imperialismo, il capitalismo e i vertici delle democrazie occidentali che avevano tradito alleati e protetti per "arricchirsi" su di loro. In prima linea c'era la Germania dell'Ovest. E sebbene tutto restasse molto complesso e intricato - dato che il denaro per colpire gli imperialisti proveniva sempre e comunque dai nemici di Israele per punire gli amici di Israele -, tanto bastava per lasciare che questa liaison proseguisse senza essere intralciata.

Fu così che per almeno un decennio la lotta armata dei marxisti-leninisti in Europa finì con lo sporcarsi le mani di sangue innocente in una sorta di placet dei servizi segreti (nella DDR ma anche al di fuori). Entità che, pur biasimandone i modi, sembrarono non volere impedirne movimenti e traffici; sciacquandosi di volta in volta la coscienza con le ragioni di un detto atroce quanto universale: “È il fine a giustificare il mezzo”. Anche se quel fine non venne mai raggiunto.

Lasciando solo centinaia di vittime innocenti, e il cordoglio dei loro cari che viene ancora tramandato nel tempo.

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