Nella corrida delle lettere ora la Spagna «mata» tutti

Nella corrida delle lettere ora la Spagna «mata» tutti

nostro inviato a Torino

In maniera inversamente proporzionale alle difficoltà economiche e sociali che la Spagna sta attraversando, affaticata dalla crisi finanziaria e dall’indignazione civile, la sua letteratura vive un momento esaltante, lanciato da autori e romanzi in stato di grazia creativo, ricchi di idee e baciati dalla buona scrittura.
La Spagna, smarrita nella sua politica quotidiana, appare invece radiosa nell’arena editoriale europea. Pochi altri Paesi - non l’Italia, non la Germania, appena appena la Francia, non con la stessa forza di un tempo l’Inghilterra - possono rivendicare il ruolo di locomotiva editoriale d’Europa. Sia nella letteratura «alta» - Almudena Grandes, Enrique Vila-Matas e soprattutto Javier Cercas, per fare qualche nome - sia in quella più commerciale - Arturo Pérez-Reverte, Rosa Montero e soprattutto Carlos Ruiz Zafón per farne altri. Quest’anno la Spagna è il Paese ospite del Salone del Libro, ma da almeno dieci anni l’Italia la legge abitualmente e da almeno cinque in cima alle classifiche di vendita e di critica si alternano Cercas, Zafón, Pérez-Reverte, Javier Marías...
«In realtà - dice Luigi Brioschi, presidente del Gruppo Guanda, editore di molti autori iberici di successo - la Spagna ha avuto già un boom negli anni ’90, quando partì una vivace movida culturale... ma negli ultimi cinque-dieci anni la Spagna è stata capace di proporsi anche come “esportatrice” di bestseller: come Zafón, o come Cercas, il primo spagnolo a entrare nella top ten delle classifiche di narrativa americana. E così gli editori italiani si sono innamorati degli autori spagnoli...».
E i lettori italiani dei loro libri. I gialli emotivi di Alicia Giménez-Bartlett, gli immaginifici romanzi di cappa e spada di Peréz-Reverte, le sperimentazioni pop-citazioniste di Vila-Matas, le raffinatezze narrative di Julio Llamazares, i romanzi storici sulla guerra civile e la dittatura - che l’Italia non riesce ad avere - di Martínez de Pisón e soprattutto di Javier Cercas, il fuoriclasse della nazionale spagnola degli scrittori. «I fatti della storia del mio Paese - ci dice l’autore di Anatomia di un istante - sono i miei demoni. Un’ossessione che si è impossessata dei miei tre ultimi romanzi. Scrivendo I soldati di Salamina scoprii due cose che hanno cambiato la mia visione della letteratura. La prima è che il passato è una dimensione del presente, cioè che io, scrivendo, capisco il mio oggi ricostruendo il passato. E in questo senso i miei non sono “romanzi storici”, ma romanzi che parlano della relazione tra presente e passato. La seconda è che non si può capire l’individuo senza il collettivo. Non posso comprendere me stesso senza capire dove sono nato e con chi sono cresciuto. In questo senso, del mio passato letterario non fa parte solo la Spagna, ma anche i latino-americani. Io sono cresciuto leggendo Borges, García Márquez, Vargas Llosa. Io non sono uno scrittore spagnolo, ma che scrive in spagnolo. Dietro di me c’è una storia e una geografia molto più ampia, che arriva al Sud-America».
Partita dal Sud-America e dilagata sulle sponde di tutto il Mediterraneo, l’onda lunga della letteratura in spagnolo è diventata uno tsunami editoriale. Pubblicati da piccoli e grandi gruppi, spaziando dalla narrativa di genere alla letteratura esistenziale, gli spagnoli hanno matato gli italiani. «La Spagna ci piace perché è vicinissima, è come noi - dice Antonio Franchini, super-editor Mondadori, e di Zafón - ma anche perché è lontanissima, è qualcosa di esotico, un mondo vastissimo che ha dentro la Castiglia, la Catalogna ma anche la tradizione latino-americana: un mondo pieno di passioni, guerre, donne, magia... Come fa a non piacerti?».
«Ora piacciono a tutti - ricorda Marco Tropea - ma fino agli anni ’90, a parte casi isolati come Le età di Lulù della Grandes e i libri di Muñoz Molina, gli spagnoli da noi erano snobbati.

Perché agli italiani piace così tanto questa narrativa? Perché offre grande varietà di temi, trame, costruzione della storia: non come gli scandinavi, che sfornano solo gialli. E poi perché i loro libri non sono scritti solo con la testa, come fanno gli americani e gli inglesi, ma anche con il cuore. Cosa che al lettore, anche se non lo capisce, piace molto».

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