Carlo Meo è l'amministratore delegato di Marketing&Trade e a pubblicato diversi testi sul consumo e i suoi significati. Uno dei più famosi è Vintage marketing. Effetto nostalgia e passato remoto come nuove tecniche commerciali (il Sole24Ore libri, pagg. 134, euro 18). Abbiamo fatto una chiacchierata con lui proprio su quella che ormai appare come un'inarrestabile cavalcata di prodotti che vengono dal passato e che sembrano convincere molto più di quelli nuovi: partendo dalle macchine come la Mini e la Fiat 500 passando per le gazzose d'antan come la Lurisia e l'Abbondio per arrivare sino ai copri iPhone che fingono di essere delle cassette a nastro magnetico.
Dottor Meo come mai si è arrivati a questa svolta passatista?
«Quando io ho scritto il mio libro un paio di anni fa il fenomeno era ancora sotto traccia. Ormai è esploso in maniera clamorosa, c'è una continua ricerca di prodotti, servizi, brand che sono legati a un passato più o meno lontano. Dico più o meno lontano perché, ormai, iniziano a essere recuperati come vintage anche prodotti che hanno solo 10 anni. Intendiamoci il recupero di prodotti del passato è una strategia di marketing che è sempre esistita. I motivi sono essenzialmente due. C'è l'effetto crisi. Tornare almeno a livello di estetica e di marchio a prodotti che ci ricordano un'epoca più felice è rassicurante».
Insomma: un si stava meglio quando si stava peggio?
«In parte. Ma non è solo un effetto nostalgia. Come le dicevo c'è un secondo motivo. A volte, diciamolo, pesa anche il fattore qualità. In alcuni casi il richiamo funziona perché rimanda a prodotti che erano migliori a livello costruttivo. Che trasmettevano la sensazione di genuinità, durata, fattura. Questo vale soprattutto per il settore alimentare».
Quindi la spinta viene soprattutto dal consumatore?
«Non solo, lavorare per lanciare un prodotto nuovo è difficile. Recuperare un brand che è gia stato di successo è più facile, è rassicurante anche per l'azienda. Non si tratta di un salto nel vuoto. Da noi dove sono molte imprese che hanno più di cinquant'anni la tentazione del recupero è forte, pensi all'esempio banale della Fiat 500».
E la strategia del rimpianto funziona sempre?
«Un prodotto di questo tipo funziona se racconta una storia. Ovviamente nel racconto possono avvenire svariate forme di revisionismo. Le faccio un esempio: le spume e le gazzose erano una cosa da oratorio e bocciofila. Ora sono tornate come prodotto di lusso con marchi che puntano moltissimo sul vintage e sul fatto come una volta. Sono passati da prodotto popolare a prodotto costoso e di nicchia. Si parla infatti di premium soft drink, e li soffre persino un colosso come la Coca-cola. In questo senso penso che possa anche essere una tendenza culturale preoccupante. Ci sono aziende che la storia del prodotto se la sono praticamente inventata».
Il recupero parte sempre da un marchio o da un prodotto di successo?
«Non è detto. Guardi il cinema, ormai è tutto un recupero di vecchi titoli o un produrre prequel di qualcosa. Cioè addirittura prodursi un prima che non c'era. A volte il prodotto iniziale magari ai suoi inizi era considerato non proprio di altissima qualità. Come ad esempio i film di zombie di Romero. Ora le pellicole che riprendono quel tema, penso anche al telefilm The walking dead, puntano ad un pubblico decisamente più raffinato e sono realizzati con budget ben diversi».
Cosa bisogna fare per lanciare adeguatamente un prodotto vintage?
«È fondamentale la filiera di distribuzione. In generale il prodotto vintage è adatto ad un certo tipo di nicchia. In generale non sono prodotti da supermercato. Sono prodotti ad alto valore simbolico e quindi la distribuzione deve essere adeguata. Ad esempio ci sono jeans giapponesi la cui forza è essere ancora prodotti con i telai lasciati dagli americani subito dopo la guerra, sono cose da concept store. Oppure prendiamo il caso della Vespa, il suo recupero ha funzionato bene perché Piaggio aveva una catena di distribuzione molto ben collocata. Il recupero del marchio Lambretta si è rivelato più ostico. Poi ci sono prodotti che hanno un design capace di collocarli fuori dal tempo e questo li aiuta. Pensi al Punt e Mes sta tornando e la sua forza resta l'etichetta disegnata negli anni '60 da Armando Testa».
E quanto durerà l'ondata vintage?
«Credo che siamo arrivati al momento di massima rilevanza del fenomeno, nei prossimi anni dovrebbe progressivamente affievolirsi.
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