Cultura e Spettacoli

"Mi vorrebbero come un lebbroso". Il retroscena sull'addio di Montanelli al Corriere

In una lettera inedita del '73 Montanelli svela all'amico Spadolini la vera storia della sua cacciata dal Corriere della Sera: "Ecco i fatti, caro Giovanni, come si sono realmente svolti"

"Mi vorrebbero come un lebbroso". Il retroscena sull'addio di Montanelli al Corriere

"Caro Giovanni, eccoti per la registrazione la sequenza dei fatti, come si sono svolti". Indro Montanelli scrive a Spadolini e svela all’amico come si è ritrovato fuori dal Corriere della Sera. È una lettera inedita del 1973, pubblicata sulla rivista Nuova Antologia e ripresa dalle pagine culturali del Quotidiano Nazionale. È la storia che segna la nascita e il destino de il Giornale. È il retroscena in prima persona di un divorzio doloroso e la testimonianza del clima che si respirava in Italia negli Anni di Piombo.

Piero Ottone è da circa un anno il direttore del quotidiano di via Solferino. Ha preso proprio il posto di Spadolini, che è stato eletto al Senato nelle liste del Partito repubblicano. Ugo La Malfa voleva candidare Montanelli, ma Indro lo dirottò sul suo amico: "Chiedi a Giovanni, accetterà".

Tocca a Ottone togliere l’abito borghese al Corsera e sostituirlo con l’eskimo sessantottino. Il compito gli è stato affidato dall’editrice: Giulia Maria Crespi. La svolta richiede una testa da far rotolare. È quella di Montanelli, la firma più prestigiosa e ingombrante.

Tutto comincia il 17 ottobre del 1973. Ottone è nel salotto di Montanelli, sprofondato su una poltrona. La ferale notizia gliela dà singhiozzando: "Se avessi saputo di dover affrontare un giorno come questo, non avrei accettato la direzione del Corriere: è il giorno più amaro della mia vita". Lacrime di coccodrillo. Il suo compito è appunto quello di dare il benservito a Indro. Il consiglio di amministrazione e in particolar modo Giovanni Giovannini, rappresentante di Gianni Agnelli, vogliono che lui si dimetta. Questa è la versione del direttore.

"Rispondo che ci penserò, e infatti ci penso, ma poi decido di darle per motivi di dignità". Montanelli scrive un lettera d’addio al Corriere. Non verrà mai pubblicata. La direzione la rifiuta. Ecco che allora, nel corso di un incontro chiarificatore con Ottone, arriva il colpo di scena. "Mi dice che la mia allusione al 'pronunciamento padronale' non è riproducibile. Dico: “O non mi hai detto che a cacciarmi è stato il consiglio d’amministrazione, che è l’organo dei padroni?”. “Sì, ma dopo aver sentito il mio parere”. “Ah, ma questo ieri non me lo avevi detto”. “Lo consideravo implicito”. “Ma allora, scusa, perché piangevi?”". Silenzio. Il faccia a faccia si chiude con un sonoro "vàttene", lanciato dal giornalista all’indirizzo del suo ormai ex direttore.

Poco dopo è proprio Giovannini a spiegare al giornalista come sono andate le cose. "Sono stati Ottone e Giulia Maria a chiedere la convocazione del consiglio d’amministrazione che non voleva riunirsi per pronunciarsi sul caso. Una volta riunito, Giovannini ha detto: “Fate quello che vi pare ma non stupitevi se fra due giorni vedrete la firma di Montanelli su La Stampa”". E così accade: "Mi hanno accolto col tappeto rosso", racconta all’amico Spadolini.

"Alle tre telefonata di Levi che mi invita alla Stampa. Gli dico che fa un passo falso perché ho tutti i motivi per ritenere che il suo padrone non approverà. Mi dice che, come direttore, è lui che assume e licenzia, ma che comunque accerterà. Mezz’ora dopo mi richiama, dice che non ha pescato Giovannini, tuttora a Milano, ma che ha pescato Agnelli a Roma che si è rallegrato dell’invito e che ha chiesto il mio telefono. Pochi minuti dopo infatti mi chiama e mi dà il benvenuto alla Stampa".

La novità scatena un diverbio tra Ottone e Levi. Il primo arriva addirittura a rinfacciare al secondo che quell’assunzione "è un atto sleale". Levi contrattacca: "Non ve l’ho portato via. Siete voi che l’avete buttato sul lastrico. Dovevo lasciarcelo un giornalista come Montanelli?".

"Mi vorrebbero ramingo coi campanelli come i lebbrosi del Medio Evo. Ecco i fatti, caro Giovanni, come si sono realmente svolti".

Un anno dopo Montanelli ruba l’argenteria di famiglia al Corsera e fonda il Giornale, questo giornale.

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