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Il «patto scellerato»: quattro capolavori per un finto Leonardo

Il «patto scellerato»: quattro capolavori per un finto Leonardo

L'affare s'ingrossa. Mi dice Tommaso Montanari, che è stato chiamato per esprimere un parere, preliminare all'esposizione, sulla Tavola Doria, e che ha cercato di attutire l'esaltazione per il Leonardo ritrovato (mostrata, fra gli altri, dal Procuratore aggiunto Capaldo) imponendo di rinunciare a esibire e a pronunciare il nome del grande artista toscano, che, dietro la trionfalistica esposizione al Quirinale dell'infetto manufatto, c'è un patto scellerato. Infatti, il Tokyo Fuji Art Museum, per fare rientrare in Italia, dopo i vani tentativi di venderla, l'invendibile tavola Doria, avrebbe negoziato uno scambio con alcuni dipinti di Leonardo nei musei italiani. Avremmo cioè esposto in Italia una crosta sottratta al mercato, che l'ha rifiutata (come ha ben chiarito Fabrizio Moretti), per consentire a una oscura fondazione giapponese di presentare autentici capolavori di Leonardo con l'evidente ritorno economico e di immagine.
Al contrario, la Tavola Doria inquina la più alta istituzione italiana, per dilettantismo e pressappochismo. Poteva essere esposta, senza la pompa che non merita, per lo studio e per le indagini, nella sede del San Michele, negli ambienti del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dei Carabinieri, senza uno sproporzionato catalogo (nel quale, pure, lo storico dell'arte Tommaso Montanari si è rifiutato di scrivere) e senza la presunzione di esporre un capolavoro. Ma questo l'abbiamo detto. Io ho difeso Napolitano contro le insinuazioni dei magistrati di Palermo i quali, senza prove, attribuiscono allo Stato la volontà di trattare con la mafia evocando fantasiose responsabilità di Oscar Luigi Scalfaro, di Nicola Mancino, di Calogero Mannino. Questa volta, invece, la trattativa c'è, ed è documentabile: un protocollo di accordo, più che una semplice ipotesi, certamente scellerata e da stroncare, a tutela delle nostre istituzioni museali e della dignità dell'Italia. Nessun dubbio che Napolitano sia, benché parte in causa, non responsabile. Non tocca a lui, infatti, la funzione tecnica, e neppure la valutazione di merito: dopo la Dama dell'Ermellino, ospitare la Tavola Doria è come, dopo la Regina d'Inghilterra, accogliere al Quirinale una pornostar travestita da Regina per essere ricevuta a Palazzo con false credenziali.
La responsabilità è tutta del ministro dei Beni culturali, Lorenzo Ornaghi, e dei suoi funzionari, manifestamente estranei a qualunque competenza tecnica e privi di coscienza morale. Ornaghi, divenuto ministro per i Beni e le attività culturali a sua insaputa, ha espresso tutto il suo compiacimento per avere, attraverso il gruppo di inesperti che lo affiancano, tratto in inganno il Quirinale, coinvolgendolo nella grottesca esibizione e offrendo in cambio, come ostaggi, capolavori dei nostri musei. Napolitano interrompa questa «trattativa» (prima che un altro Ingroia intervenga, subodorando la truffa). Questa dimostrazione di incompetenza e questa assenza di elementare prudenza, a tutela del patrimonio artistico italiano, sono ulteriori prove, e tra le più gravi, dell'inadeguatezza di un ministro la cui uscita di scena è motivo sufficiente di compiacimento per la caduta del governo Monti.

Lo ha riconosciuto, soltanto ieri, e per altre inadempienze, anche Salvatore Settis, che fu pure costretto a dimettersi da presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali da Sandro Bondi: «Per troppo tempo abbiamo sperato che la destra “colta e pulita” del governo Monti segnasse un progresso rispetto alla destra becera e incolta dei governi Berlusconi, ma almeno in questo caso non è così. Sarà forse per carità cristiana, ma certo Ornaghi ha voluto dimostrare, urbi et orbi, che il povero Bondi non era, dopo tutto, il peggior ministro possibile. Bisogna ammetterlo, ce l'ha fatta».

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