Pensiero stupendo Rinnovare le idee col metodo Valéry

Eclettico, libero, leonardesco: l'intellettuale che cambia il mondo non cresce in accademia

«A mo il pensiero autentico come altri amano il nudo... l'osservo come un essere che è tutto vita - tale che se ne può vedere la vita delle parti e quella del tutto». Ho tra le mani come un lingotto aureo del pensiero, il meridiano dedicato alle Opere scelte di Paul Valéry (Mondadori, pagg. 1771, 80 euro). E ritrovo nel poeta, scrittore, matematico e filosofo francese la definizione dell'intelligenza allo stato puro, alla ricerca della nuda verità. La lucidità impareggiabile di Valéry trascorre in queste pagine dai versi ai dialoghi, dal teatro alla danza, dalla letteratura all'estetica, dalla scienza alla filosofia, in una rappresentazione leonardesca del pensiero. Non a caso a Leonardo è dedicata un'opera di Valéry, qui inclusa. A Leonardo fu accostato un altro genio del Novecento, il russo Pavel Florenskij, scienziato, metafisico, pope e testimone di verità ucciso dopo anni di gulag. Vertiginosa l'altezza del suo pensiero come l'amore autentico della sua fede, l'acutezza con cui ha penetrato simboli, linguaggi, icone. Se dovessimo indicare i giganti del pensiero dell'ultimo secolo la mente non va ai filosofi pur grandi che l'hanno abitato, ma a Valéry, a Florenskij e a Simone Weil, a Ernst Jünger, a Oswald Spengler, a René Guénon, e in Italia a figure in disparte come Julius Evola, Andrea Emo e su altri versanti, come l'ideologia, a intellettuali come Antonio Gramsci... Mi fermo, anche se altri nomi affiorano. Come definirli, in sintesi, questi autori non classificabili, che non furono filosofi, né solo letterati, non furono accademici, non sono studiati a scuola in una disciplina o nei sommari di storia della filosofia? Pensatori. L'unico appellativo che si addice a chi non appartiene a una categoria specifica, e che riconosce sia la loro singolarità che la vastità dei loro campi. Filosofo è colui che dell'universalità ha fatto una specializzazione, anzi dell'universalità ha fatto università, cioè accademia, professione, gergo e teoria. Pensatore è invece colui che abbraccia col pensiero la vita e tende all'assoluto, in una visione del mondo. Il pensatore vuole intelligere il mondo e non si arresta davanti alla soglia del sacro e della profezia, della scienza, dell'arte e della vita, chiuso nella filosofia, ma vi si addentra da scienziato, da artista, da vivente, nella sua solitudine fuori da ogni accademia o istituzione. E lancia «sguardi sul mondo attuale», come s'intitola un testo di Valéry qui incluso, penetra l'epoca presente e compara le civiltà. I pensatori citati non furono professori come i filosofi più grandi del '900 (eccezione tra loro fu Croce). Ma rimasero per così dire a piede libero, solitudini astrali e viandanti del pensiero, a volte clandestino; pensatori a volte impersonali, cioè non portatori di una visione singolare e originale, ma di un sapere originario, metafisico. Per capire la vita, il mondo e la condizione umana il pensatore intreccia saperi ed esperienze, non resta irretito in un sistema e in un lessico o ingessato in un corso scolastico. Il rapporto tra la realtà e la verità, tra la parola e il silenzio si fa in lui più intenso, diretto, assoluto senza interferenze, senza linguaggi astrusi, puro nell'impurità di un pensiero vivente che si dispone a trascendere la morte e a non chiudersi nell'opera.

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Ripenso a quegli autori all'alba dell'anno nuovo e sento risalire un interrogativo: perché non c'è più un pensiero nuovo? Perché non è pensabile, non è convertibile in pratica. Oggi il nuovo si addice ai modelli della tecnologia che seppelliscono i precedenti: nuovo può essere uno smartphone, un tablet, una app, un video, uno spot. Ma un pensiero nuovo è inconcepibile, odora di déjà vu, come gli ultimi pensieri nuovi che nacquero e finirono lungo il Novecento. Non è possibile un pensiero nuovo perché tutto appare già provato e consumato e quel che fu detto non vale più oggi, è come scaduto, sfinito, tradito. Ma non è possibile un pensiero nuovo perché non è possibile un pensiero, non è più verosimile, non suscita alcun riflesso reale. Che vuol dire oggi il pensiero se non comporta un'applicazione? Può esserci un'emozione, un evento, un accesso, ma cos'è il pensiero oggi, se non sterile metafisica, astratta, ineffabile, improduttiva concettualizzazione? Così diventa impossibile pensare il mondo, la vita, la morte e oltre. Eppure, senza pensiero nuovo non sarà possibile alcuna nascita di nessun tipo. Non è un pregiudizio idealista, ma la nostra civiltà vive nel declino e nell'attesa della morte anziché della nascita, finché non riuscirà a pensare il nuovo. Che è poi semplicemente pensare. Perché ogni vero pensiero non è ripetizione rituale, come invece è la preghiera, o ripetizione meccanica, come il riflesso automatico. Ma è novità, rielaborazione critica, originalità alla ricerca dell'origine. Pensare il nuovo non vuol dire pensare ciò che non esiste, creare dal nulla, abitare l'utopia. Ma significa disporsi alla nascita, al rinnovamento, sapendo che ogni aurora comporta un tramonto e il nuovo mattino rinnoverà l'eterna promessa di un giorno che sorge e poi tramonta, compiendo il suo ciclo. Il nuovo è la luce del mattino che torna ad albeggiare; poi verrà una nuova sera. Così sarà il pensiero nuovo, un pensiero che eternamente nasce ed eternamente muore, e così si rinnova. Così è stata e così sarà la storia del mondo, fino a che ci sarà il mondo; così è stata e così sarà la storia dell'uomo, fino a che ci sarà il pensiero. Il pensiero è una nuova vista, mentre la filosofia sta scemando in una nuova cecità. «Lo spirito ha trasformato il mondo e il mondo lo ricambia largamente - scrive Valéry - ci ha conferito un potere di azione che supera di gran lunga ogni facoltà di adattamento... impone problemi nuovi, enigmi innumerevoli». Davanti al disordine universale e a una quantità di situazioni e problemi del tutto inediti, davanti a «un regime permanente di perturbazione delle nostre intelligenze», nota Valéry, gli insegnamenti del passato sono più da temere che da meditare e le previsioni sono vane e sbagliate; bisogna invece saper leggere il presente per preparare, affrontare, resistere o utilizzare gli eventi, modificando in noi «tutto il sistema delle attese». Ma gli eventi «sono soltanto la schiuma delle cose... si tratta di tentare di concepire un'era tutta nuova».

Pensare sarebbe dunque la vera novità per l'anno che nasce e per il tempo che verrà. Ma neanche il nuovo è assoluto. Tocca al pensiero nuovo suscitare una visione del mondo in grado di cogliere e distinguere quel che cambia, quel che resta e quel che torna.

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