Il pilota che riscrisse l’arte della guerra

Il pilota che riscrisse l’arte della guerra

nostro inviato a Gorizia

Se vi capitasse di vedere una delle suo foto, poco importa se con una delle sue brutte giacche a quadrettoni o una di quelle in cui indossa la tuta da pilota, non lo riconoscereste, nonostante la faccia squadrata così particolare. Succede. Ci sono personaggi che cambiano la storia eppure nessuno li conosce. È il caso di John Boyd (1927-97). Anche se non ve lo hanno mai raccontato, questo ufficiale dell’aviazione americana vale un Sun Tzu o un Clausewitz. Non c’è movimento, tattica o strategia messi in atto dalle forze NATO di oggi che non sia modulato sulle sue teorie. E moltissime delle scelte dell’aviazione militare americana, per quanto riguarda armi e mezzi, hanno risentito delle sue dottrine.
Ma andiamo con ordine. Cioè all’origine della vicenda. Nel 1946 questo ragazzo della Pennsylvania si arruola nell’Aeronautica e viene spedito in Giappone con le forze di occupazione. Tornato in patria e sfruttando le leggi a favore dei «reduci» fa di tutto per farsi riassegnare a qualche altro incarico. La Guerra di Corea è la sua occasione. Dopo essere passato dal corso di pilotaggio della base di Williamson in Arizona partecipa a 22 combattimenti aerei. E i combattimenti li vince. Ma non è un von Richthofen, una macchina di morte tutta istinto e mitragliatrici. Mentre vola si chiede perché i piloti degli F-86 Sabre riescano ad avere così spesso ragione dei Mig 15 (l’aereo russo è potenzialmente migliore). Il risultato è che inizia a catalogare tutti i tipi di possibili manovre di un combattimento. La sua catalogazione doveva essere buona, visto che la insegnano ancora. A quel punto lo spostano come istruttore alla «Fighter Weapons School». Sin che resterà alla scuola sarà famoso come «Quaranta secondi Boyd», ossia il tempo che ci mette ad abbattere in simulazione qualsiasi pilota voli contro di lui. Abbattere piloti a questo ritmo però è un po’ noioso, infatti Boyd, per passare il tempo, si laurea in Ingegneria e intanto sviluppa assieme al matematico Thomas Christie il concetto di energia-manovrabilità. Una formula che permette di sapere quale tra due aeroplani si trova in vantaggio in determinate condizioni di combattimento. Lo fa usando abusivamente un computer dell’Usaf. Ovviamente i generali inizialmente non ne vogliono sapere (mentre oggi niente che voli e spari viene progettato senza...).
È il nucleo base da cui si svilupperà quella che sarà conosciuta come «The Fighter mafia» un gruppo di ufficiali che utilizzando le idee di Boyd riuscirà a ottenere la produzione degli F-16 e degli F-18 e a far uscire l’Usaf dalla crisi dottrinale generata dal Vietnam.
Ma Boyd, siamo negli anni Settanta, ha già in corso un progetto più ambizioso, studia Storia in maniera maniacale e vuole arrivare a una nuova dottrina militare che superi del tutto il modello del conflitto di «attrito» di Clausewitz e attualizzi Sun Tzu. Il risultato è il modello OODA (Osservazione, Orientazione, Decisione, Azione). Il modello dovrebbe riassumere tutte le possibili attività decisionali e pratiche della guerra. Se si riesce a capire il ciclo OODA del nemico e a intervenire su di esso il risultato è la vittoria al minor prezzo possibile.
Il modello lentamente si impone, ancora oggi i Marines lo adorano, ma qui c’è anche la grande falla di Boyd. Boyd credeva nella flessibilità, nel confronto con l’uditorio. Trasmetteva la sua teoria attraverso lezioni dirette, grafici, materiali riassemblati al momento. Insomma era dialogico, una specie di Socrate della guerra. Un Socrate che causava dei tremendi choc parlando di guerra asimmetrica, di incursori, di fanteria leggera a gente piena di stellette che voleva solo comprarsi una portaerei bella grossa. Non bastasse, le lezioni di Boyd duravano anche decine di ore. Mentre i suoi articoli raramente superavano le dieci pagine. Risultato? Boyd, che pensava che qualsiasi strategia lineare e non complessa è fallimentare in partenza, è stato spesso schematizzato e ridotto in formula.
A riassemblare molti dei suoi materiali, a tentare di dare una visione complessiva, ci ha provato un ufficiale dell’Aeronautica olandese, Frans P.B. Osinga, il cui libro L’arte della guerra di Boyd adesso arriva in Italia (Leg, pagg. 464, euro 36, introduzione di Fabio Mini, traduzione di Basilio di Martino) ed è stato presentato al festival «èStoria» di Gorizia. Come spiega Osinga al Giornale: «Davvero Boyd per certi versi è stato un profeta e un maestro, ha inventato un modo di concepire la guerra che se applicato inserisce il livello strategico all’interno dello sviluppo culturale post moderno...

Ci ha fornito uno strumento per capire il presente, applicabile a moltissime situazioni complesse anche di ambito civile. Peccato lo abbia fatto con migliaia di “lastrine” di cui spesso i generali si sono limitati a capire la più semplice, quella pensata per i comandanti di compagnia».

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