Le polemiche sul Premio Strega sono sempre divertenti perché spesso viene fuori una delle principali caratteristiche dell'intellettuale italiano, cioè quella di dichiararsi contro il sistema, diabolico mix tra potere editoriale e strapotere del mercato, pur facendone parte a pieno titolo e guardandosi bene dall'uscirne.
A esempio l'altroieri Emanuele Trevi, l'anno scorso vincitore mancato per due voti e in giuria dal 1994, si è accorto all'improvviso che lo Strega non gli piace e dunque si è autosospeso. I motivi sono sempre i soliti: ci sono troppe pressioni, devono essere i giurati e non le case editrici a scegliere i candidati, la qualità conta nulla, bisogna rinunciare al voto segreto, è necessaria una rivoluzione. Sono argomenti condivisibili, però se ne parla più o meno da quando esiste lo Strega stesso. Possibile che il disagio di Trevi sia esploso solo l'altroieri nel corso di una sua intervista con Repubblica? Davvero è stato un Amico della domenica per 19 anni filati («ero il più giovane giurato d'Italia») senza accorgersi di nulla? Perché non è intervenuto, non ha fatto sentire la propria voce fino a ora? Come mai nel 2012 ha deciso di correre per la vittoria, col suo Qualcosa di scritto (Ponte alle Grazie), pur ritenendo il premio una mezza schifezza in cui i piccoli editori non hanno alcuna speranza? Insomma: perché per vent'anni ha accettato le regole non scritte ma note a chiunque che ora contesta? Credibilità saltami addosso.
Ieri poi Inge Feltrinelli ha voluto commentare (da Mosca) le parole di Trevi, ovviamente dando ragione allo scrittore. «È vero, il sistema di scelta dei candidati è un po' mafioso». Come mai? Lo sapete già. «Servirebbe una giuria più fresca e indipendente»; «la Mondadori detta legge»; «lo Strega dovrebbe andare solo a un libro di qualità»; «non si può assegnare un riconoscimento per effetto delle pressioni». Benissimo. La notizia però è un'altra.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.