"Quando ero ragazzo e mi chiedevano cosa avrei voluti fare da grande, la mia risposta era: 'il giornalista, anzi, l'intervistatore', mi sembrava che intervistare gli italiani, dare insomma voce all'Italia, fosse il massimo di questo mestiere e il senso stesso della professione. Sentendo loro arricchivo me stesso e mi sembrava che insieme divenissimo tutti più educati e più civili. In ormai più di 70 anni di mestiere è un comandamento a cui mi sono sempre attenuto".
A 89 anni, Sergio Zavoli, il presidente per eccellenza della Rai (oggi oggi alla Vigilanza dell'ente stesso), è stato festeggiato dagli Amici della Lirica con una Targo d'oro alla carriera, in occasione anche dell'uscita della sua ultima fatica autobiografica dal titolo "Il bambino che io fui" (Modadori). Nell'occasione un riconoscimento è andato anche al tenore Dino di Domenico accompagnato dalla pianista Angiolina Sessala, per ambasciatore nel mondo del bel canto che ha voluto omaggiare il presidente della Rai Zavoli e il pubblico con la sua interpretazione della romanza "Caro ideal" di F.P. Tosti.
Nella splendida cornice del Pricipe e Savoia, la presidentessa Daniela Javarone con il Marchese Alberto Litta Modignani, ha fatto gli onori di casa agli illustri ospiti e al tavolo d'onore a cui sedevano il sociologo Francesco e Rosa Alberoni, il direttore del Sole 24Ore, Ugo Cennamo, Arturo Artom, il consigliere comunale Andrea Mascaretti, già assessore della precedente giunta Moratti.
Nato a Ravenna nel 1923, vissuto a Rimini, una vita a Roma, uno splendido "buon retiro" nella sua villa nella zona dei Castelli di Monte Porzio Catone, dal quale si sposta tutti i giorni per raggiungere gli uffici Saxa Rubra, Sergio Zavoli è per molti versi il testimone dell'Italia, della sua storia, prima e dopo la seconda guerra mondiale. Memorabili sono le ricostruzioni televisive fatta da lui in proposito da 'nascinta di una dittatura' alla 'lunga notte della Repubblica', senza dimenticare quel 'processo alla tappa' che inaugurò il giornalismo sportivo come genere non solo cronachistico ma di dibattito e di introspezione personale. Grandi firme, da Gianni Brera ad Aldo Biscardi furono suoi compagni di viaggio.
"Appartengo a una generazione, che è poi quella del mio grande amico Federico Fellini che ha fatto a tempo a vedere gli orrori della guerra, le speranze della rinascita, gli anni del boom economico, quelli della crisi della Prima Repubblica. Eravamo stati tutti quanti allevati da quella frase della 'Voce' di Prezzolini e Amendola che diceva 'questa Italia come è oggi non ci piace'. Ci siamo battuti per modificarla e per quanto oggi la situazione possa apparire critica e fonte di sfiducio, resto dell'idea che l'italiano uscito dalal
Seconda Guerra Mondiale si dovesse confrontare con propblemi di gran lunga peggiori. Eravamo un Paese distrutto, eravamo un Paese che grazie alla CGL di Di VIttorio entrava nel pieno delle lotte sociali e operaia, eravamo un Paese nel quale intere regioni erano senza acqua e dove non c'era ancora un'autostrada del Sole a collegare il Sud al Nord. Eppure divennammo la quarta potenza industriale del mondo".
E' toccato a Roberto Napoletano, che è ha avuto Sergio Zavoli suo direttore al Mattino di Napoli, tirare un po' le fila dell'esperienza umana di Zavoli come traspare dalle pagine del suo libro. "L'Italia di Zavoli era un'Italia in cui c'erano ancora i pranzi della domenica, per arrivare a scuola si facevano chilometri nelle campagne, si respirava la fantasia onorica di Federico Fellini e il realismo ironico e maliconconico di Eduardo De Filippo. Quello di Zavoli è un libro diverso dalla solita memorialistica. L'ho recensito sul Domenicale, colpito da questo delicato viaggio nella memoria, dalla storia di un bambino che sognava a colori quando il mondo era ancora in bianco e nero. L'autore si interroga attraverso il nipote sulla modernità, ma ciò che più mi ha colpito è il suo finale, la cronaca del bambino che aveva smesso di ridere, per il quale arrivarono anche dall'America signori professori...i giornali parlarono a lungo nella prime pagine di questo fenomeno, al contrario di oggi che la politica, se così la vogliamo chiamare, fa da padrona senza che la stampa si interroghi sull'anima di una nazione".
Il direttore de Il Giorno ha invece posto l'accento sul luogo pedagogico del giornalismo televisivo di Zavoli e sulla RAI come servizio pubbliucoi da lui condotta e difesa: "Zavoli è sempre stato un sostenitore della concorrenza e del libero mercato, ma ha sempre pensato che una tv pubblica per la quale si paga un canone dovesse avere obiettivi e strategie diverse dallo scimmiottamento dei canali privati. Non una tv che accettasse supinamente i gusti di massa, ma una tv che doveva educare, far crescere senza l'ansia di un scoopismo fine a se stesso". Zavali ha ribadito che anche il suo amico Enzo Biagi era convinto di questo fenomeno, mentre purtroppo la logica dello scoop fino a se stesso è diventata una costante della stampa italiana.
Davanti a una grande torta che lo festeggiava Il Presidente ha fatto sue le parole di Bernard Ross: "Guai se i sentimenti dei giovani si raffreddassero" e non potendo non citare il suo amato Machiavelli ha concluso con un invito a "sperare e agire per i nostri figli e loro nei confronti dei proprio...". Questo era quello che si chiamava "Ruminare l'umanita!"
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