Quel reportage di Prezzolini sui mafiosi italoamericani

Quel reportage di Prezzolini sui mafiosi italoamericani

Un fattaccio brutto di immigrazione. Bande rivali che si contendono il mercato ortofrutticolo. Il capo della polizia forse è corrotto, parteggia per una delle gang. Gli altri lo stendono, con spreco di piombo. Quando si arriva ai tribunali, però, nessun colpevole, giudici e giuria sono anch'essi in odore di corruzione. E allora la gente decide di far da sé, si forma una banda di vigilantes che preleva dal carcere 11 stranieri e li appende ai lampioni.
Siamo in una odierna banlieue parigina? Stiamo parlando del «caporalato» della raccolta dei pomodori in Puglia? Oppure della rabbia etnica scatenatasi recentemente nelle periferie di Mosca contro i caucasici? No, la trama di La strage di New Orleans prende corpo nella città americana nel 1890, quando per la prima volta sui giornali a stelle e strisce si iniziò a parlare di mafia. E quando, sull'onda dell'eccidio, i rapporti diplomatici fra Italia e Stati Uniti si ruppero per ricomporsi soltanto dietro congruo risarcimento. A raccontare questo evento archetipo, che dice moltissimo sull'immigrazione in generale e sugli Stati Uniti e sugli italiani in particolare, è una delle penne migliori del nostro Novecento, Giuseppe Prezzolini, nel 1958. Ora il testo ricompare per il piccolo editore Barion (pagg. 74, euro 6). Come spiega nella sua postfazione Beppe Benvenuto, Prezzolini da emigrato di lusso e di lungo corso (in fuga dal fascismo, insegnò a lungo alla Columbia University) ha un'idea molto chiara sia dell'immigrazione, sempre e comunque una «tragedia», sia della mafia. In quel caso opinioni che agli americani non piaceva sentire: «Vorrei che gli italoamericani capissero che la mafia è stata una loro creazione in America, il passaggio dalle elementari siculo-calabresi alla università del delitto di Chicago...

Dovrebbero creare un Museo della Mafia e scriverci sopra a caratteri cubitali: Ecco il frutto dell'educazione americana...».
Una posizione molto dura e anticonformista, ma motivata e non venata dal solito buonismo d'accatto.

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