Ragazzi, leggete e cambierete il mondo

Ragazzi, leggete e cambierete il mondo

di Mariapia Veladiano

A leggere, come ad amare, non si impara da soli.
Può amare chi ha conosciuto nella vita l’esperienza di essere per l’altro un assoluto in nessun momento esposto all’abisso dell’abbandono, sicuro nella presenza e anche nell’assenza, essere unico, irrinunciabile. Se ci accade come figli, la nostra vita è salva. Altrimenti si deve aver la bella ventura di trovare chi ce la regali da grandi, questa vita. Si nasce dall’altro, sempre. Anche per leggere ci vuole l’altro. Quest’arte coltivata poi in solitudine richiede una relazione, molte relazioni. Meglio un mondo intero. Almeno fino a un certo punto.
Se le cose vanno come sarebbe bello che andassero, le prime storie ci arrivano dalla voce di un papà, una mamma, una nonna, una tata. Suono e narrazione insieme per sempre. La nostra futura lettura autonoma e silenziosa sarà accompagnata da un suono dentro di noi, eco di quel suono di affetto che ci consegnava le prime storie.
Certo, può non andare così. E allora a scuola ci arrivano bambini che, dopo i libri morbidosi coccolati e succhiati all’età giusta, non hanno visto più molto. E ragazzi che davanti alla domanda, proposta dal questionario Ocse-Pisa, «Quanti libri oltre a quelli di scuola hai in casa?» chiedono agli insegnanti cosa rispondere: se «da 0 a 12» oppure «da 12 a 20» perché non sanno se il Vangelo (!) in 12 volumi vale 1 o 12. È capitato eccome, e non solo una volta.
E allora serve il mondo. Un bel mondo di lettori che conoscono bene le storie raccontate nei libri, che sanno proporre proprio quella giusta alla ragazza giusta, che hanno conosciuto su di sé le emozioni che un personaggio può regalare. E soprattutto che le sanno leggere, le storie. Come quei passi necessari, a livello affettivo e relazionale, per poter avere una vita accettabile, così l’esperienza dell’altro che legge per noi deve essere fatta prima o poi. A scuola almeno. Meglio a partire dalla scuola dell’infanzia, ma va bene sempre. E le maestre lo fanno, grazie al cielo: il miracolo del silenzio incantato dei bambini che ascoltano la loro maestra leggere la prosa poetica di Roberto Piumini, la sospensione di Beatrice Masini nel raccontare i sentimenti, l’allegria scanzonata e pensosa di Gianni Rodari, la libertà del mondo capovolto e trasgressivo di Roald Dahl. Capita tutti i giorni nelle nostre scuole, altrimenti non avremmo quell’incredibile tesoro di giovanissimi lettori, il 62% dei ragazzi fra gli 11 e i 14 anni, che l’ultima indagine Istat ci consegna. Il suono della narrazione deve scivolare in chi ascolta con la forza di una seduzione buona, esclusiva e cieca come ogni seduzione, capace di isolarlo dal mondo: solo lui e il suono che non si può interrompere. Se capita, nasce il lettore. Che cercherà quel suono in sé per sempre.
Poi, o forse nello stesso tempo, viene il problema, certo importante, del genere «giusto» da proporre, di altri modi più «adulti» di favorire l’amore fra i ragazzi e i libri. Ma leggere va sempre bene. Anche alle superiori. L’importante è scegliere un testo che dica almeno un po’ l’armonia fra suono e significato, musica e narrazione. Si deve sempre sapere che la lettura a scuola è un’occasione forse unica per fare incontrare i libri e i ragazzi. E anche quando i testi sono «obbligati» la lettura d’aula fa bene. La bella lettura ad alta voce de I promessi sposi fa meraviglie, e aiuta a superare l’oggettiva difficoltà di un periodare splendidamente architettonico, ma sconosciuto a chi è molto giovane, perché la lingua ha oggi un respiro frammentato, che asseconda l’età distratta degli adolescenti.
Michael Cunningham scrive che «idealmente, una frase letta ad alta voce in una lingua sconosciuta dovrebbe possedere comunque una qualità sonora, anche se chi ascolta non ha idea del significato di ciò che gli viene raccontato», e porta l’esempio dell’incipit di Moby Dick, di Herman Melville: «Call me, Ishmael», sinfonia di suoni vocalici rassicuranti, «a» e poi «e» e poi «ae», e di consonanti che fanno l’architettura: la frase si apre con la «c» dura, si appoggia alla «l» morbida di «call» e si chiude sulla «l» simmetrica di «Ishmael».
Una piccola perfezione che può essere proposta ai ragazzi, magari insieme a qualcosa che sorprenda, di assolutamente inatteso. Una poesia di Wirslawa Szymborska – Addio a una vista, da La gioia di scrivere, pubblicato da Adelphi nel 2009 – ad esempio, letta come si può in polacco oppure, meglio, aiutati da un’allieva polacca (per fortuna oggi ce ne sono tanti di studenti stranieri che possono aiutare i professori nelle scuole): «Niczego nie wymagam / od toni pod lasem, / raz szmaragdowej, / raz szafirowej, / raz czarnej || Non pretendo nulla / dalle acque fonde accanto al bosco, / ora color smeraldo, / ora color zaffiro, / ora nere».
E conta poco esser scivolati nella poesia. Ai ragazzi rimane che la bellezza del suono si sente in tutte le lingue e va cercata e scoperta. Poi sarà un gioco e verranno loro a sottoporre incipit o parti di testo perfetti o orridi. Senza mezze misure, com’è giusto a una certa età. Così come è giusto che a una certa età il quasi unico suono che vogliono sentire leggendo sia quello del torrente di emozioni, paure e desideri che li attraversa. E allora, sfiorando il tema dei generi, non ci dev’essere nessun pregiudizio a far da argine alla libertà di lettura dei ragazzi. Un ragazzo che legge un horror ben dimensionato per la sua età non deve aver l’impressione che «per adesso va bene ma non è vera letteratura». Non importa il genere. Noi dobbiamo proporre la qualità semplicemente perché la bellezza ha più possibilità di farsi strada. Ma la qualità non è solo nel canone con cui siamo cresciuti. C’è un canone in formazione e i ragazzi spesso sanno riconoscerlo se si offre loro la possibilità di scegliere. È lettura, è affaccio meraviglioso su uno dei mille mondi che i libri possono spalancare davanti a loro da oggi in poi.
Le bibliotecarie lo dicono: molti libri insospettabili possono farsi leggere dai ragazzi e farli innamorare delle storie. E sono benedette le serie, da questo punto di vista, perché incatenano all’attesa del libro successivo, portano nelle librerie a cercare quel che di più simile c’è, fanno leggere e leggere.
Ma perché un ragazzo dovrebbe leggere vivendo in un mondo dominato dalle immagini? Meglio non chiederlo in un tema. Nell’età della provocazione potrebbe rispondere serenamente: «Non lo so, per questo non leggo». E però noi lo sappiamo perché si deve riuscire a regalare l’amore per i libri. Lo ha scritto meravigliosamente Mario Vargas Llosa: i libri «fanno vivere ai lettori l’impossibile, tirandoli fuori dal loro io individuale, rompendo i confini della loro condizione, e facendo loro condividere, immedesimati con i personaggi dell’illusione, una vita più ricca, più intensa, o più abietta e violenta, o semplicemente differente da quella nella quale sono confinati» (La tentazione dell’impossibile. Victor Hugo e «I miserabili», 2011).

Alla fine leggere salva dal nostro egoismo, fa uscire da sé, ci trasforma, ci fa sentire simili nell’unico mondo, diversi nella separatezza illuminata della lettura. Ci salva dal sentirci innocenti. Ci regala l’appartenenza alla comune umanità.

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