Reportage

S econdo Luigi Angeletti la Cgil non sarebbe più un sindacato attento alla realtà del Paese, ma «un gruppo di critici d’arte» che immagina quanto di più astruso e fuori dal tempo. Per il leader della Uil, dunque, i critici oltre che inutili sarebbero pure pericolosi e dannosi. Sgarbi, Bonami (e pure il sottoscritto) inizino a tremare.
Non che non se ne fossero sentiti di luoghi comuni intorno a chi si occupa d’arte: matti sarebbero soprattutto gli artisti, nati sotto Saturno e quindi ondivaghi, irregolari, depressi, strani, egocentrici oltre ogni umana sopportazione. Galleristi e mercanti? Cinici approfittatori, supportati dai collezionisti che inseguono l’affare ad ogni costo. Ma il critico, poverino, cosa avrebbe mai fatto di male?
A parziale riscatto della categoria, è uscito ieri sul Corriere della Sera un bell’articolo di Arthur Danto che spiega come avesse deciso, tanti anni fa, di abbandonare qualsiasi velleità da pittore per dedicarsi alla critica. Galeotto fu The Kiss, nel 1962, una tela dell’artista pop Roy Lichtenstein, realizzata con il classico metodo del retino a ingrandire il dettaglio di un fumetto, dunque un’immagine pre-esistente e non originale, prelevata dai media e dalla cultura di massa. Lui, Danto, ancora immerso negli studi filosofici e nella convinzione che l’arte dovesse essere espressione di un sentimento soggettivo, mise da parte ogni velleità creativa per passare all’analisi di opere fatte da altri.
Per imparare questa nuova disciplina, colui che sarà autore di saggi fondamentali come La trasfigurazione del banale e di una recente biografia di Andy Warhol, dovette imparare a scrivere in maniera più comprensibile tentando di tradurre con la parola immagini non sempre così chiare al pubblico. «La maggior parte dei critici d’arte professionisti - racconta Danto- erano allora professori universitari e utilizzavano il linguaggio tormentato che veniva loro trasmesso nei seminari sui filosofi europei».
I critici d’arte devono adottare un sano pragmatismo, avendo il compito di individuare i contenuti, spiegare il significato e giustificarne l’eventuale coerenza. Per riuscirci, dunque, non basta essere fini teorici. La critica, peraltro, si è molto evoluta negli ultimi anni, diventando un mestiere vero e proprio che può portare pure a un discreto ritorno economico. Viaggiatore non certo per diletto, oggi al critico si richiede assoluto senso pratico: conoscere locazione delle opere, allestire uno spazio, affidarsi a una buona ditta di trasporti e saper compilare un certificato assicurativo. In più, deve essere esperto in comunicazione, tradizionale su carta e poi sul web e nei social network.

Poi, sopraggiunta la crisi economica, gli è richiesto di contrarre i costi che tradotto significa più o meno «fare le nozze coi fichi secchi». Insomma, nell’arte non esiste categoria professionale più contemporanea ed evoluta. Al confronto il sindacato risulta ancorato al tradizionale schema del modernismo, espressione del Novecento.

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