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Da ribelle a simbolo d'unità Dio salvi la regina Elisabetta

Ha saputo mettere da parte l'anticonformismo e incarnare lo spirito della nazione, salvando la monarchia. Nonostante scandali e problemi

Da ribelle a simbolo d'unità Dio salvi la regina Elisabetta

Persino quella inguaribile malalingua di Elsa Maxwell, la celeberrima «pettegola d'America» ne fu colpita. Questa impietosa e imprevedibile regina del gossip mondano, poco prima dell'incoronazione di Elisabetta II, scrisse su un periodico americano, un ritrattino dove non c'è traccia di quella perfidia per la quale era divenuta famosa: «Sua Maestà veste bene (non appare mai in ghingheri) ed è veramente molto più graziosa di come appaia in alcune sue fotografie. È anche un'abile oratrice estemporanea, la sua voce è acuta, limpida e dal timbro perfetto. Si notava la sua piccola statura, l'altro giorno durante una rivista, quando la scortava un gigantesco ufficiale delle Guardie. Ma quando la vidi circa un anno prima della morte di re Giorgio VI, a cavallo, rigida e dritta in sella nella sua divisa di colonnello in capo, era affascinantissima». Ma non basta. Il panegirico della Maxwell per questa «ragazza meravigliosa» che di lì a poco sarebbe stata incoronata, si concludeva con la profezia che la nuova sovrana sarebbe diventata «probabilmente la più grande regina del suo paese da quando l'altra Elisabetta regnò sull'Inghilterra».

A distanza di tanti decenni dalla solenne cerimonia di incoronazione (2 giugno 1953) svoltasi nella abbazia di Westminster la profezia della Maxwell ha trovato conferma. Elisabetta II - la figlia primogenita di Giorgio VI, divenuto re nel 1936 dopo l'abdicazione di Edoardo VIII che aveva preferito alle cure del trono l'amore di Wally Simpson - rappresenta il simbolo della saldezza della monarchia inglese a livello di coscienza popolare: è, in certo senso, l'espressione di un processo di «nazionalizzazione» dell'istituto monarchico in Gran Bretagna. La principessa che non era destinata a diventare regina si è rivelata, davvero, la sovrana più popolare della storia inglese. E ciò malgrado gli scandali che hanno colpito o sfiorato la Casa Reale e i problemi politici che ne hanno costellato il lungo regno. Hanno trovato conferma, nella coscienza collettiva, le parole da lei, ancora principessa, pronunciate il 21 aprile 1947, giorno del ventunesimo compleanno: «Dichiaro davanti a voi tutti che l'intera mia vita, sia essa lunga o breve, sarà dedicata al vostro servizio e al servizio della nostra grande famiglia imperiale cui apparteniamo».

Alla figura della sovrana inglese è stata dedicata una ampia e gustosa biografia dal titolo Une vie de Reine. Le roman des Windsor (Fayard, pagg. 682, euro 24) scritta da una nota giornalista, Annick Le Floc'hmoan, che si era già cimentata col genere biografico pubblicando il fortunato volume Ces extravagantes soeurs Mitford (Fayard, 2002) dedicato alle inquiete rampolle di un'altra grande casata dell'aristocrazia britannica. Scritto con la levità di un reportage, il saggio della Le Floc'hmoan ripercorre la vita di Elisabetta dalla nascita facendo notare come, poco alla volta, man mano che le sue responsabilità crescevano, ella abbia subito una trasformazione profonda fino a diventare un simbolo capace di recuperare la crisi di credibilità dell'istituzione monarchica connessa alle vicende di alcuni esponenti della famiglia reale.

Educata in famiglia e divenuta erede al trono soltanto nel 1936, Elisabetta mise da parte ogni comportamento anticonformistico che l'aveva accomunata alla sorella Margaret e acquisì sempre più la consapevolezza di doversi preparare al «mestiere di regina». Il senso del dovere lo manifestò presto, durante la guerra, quando riuscì a convincere il riluttante padre a permetterle di partecipare allo sforzo bellico come volontaria, in qualità di autista nell'Auxiliary Territorial Service. La sua storia d'amore con il lontano cugino Filippo Mounbhatten, un matrimonio non combinato ma certo ben riuscito, fu un altro puntello della regalità.

Di sentimenti conservatori, Elisabetta ha mantenuto un buon rapporto con tutti i premier che si sono succeduti, indipendentemente dalla loro estrazione partitica, da Winston Chuechill, per il quale nutrì ammirazione e devozione, fino a David Cameron e persino con Margaret Thatcher che confessò di «detestare cordialmente». La «vita di regina», ritmata da impegni di ogni genere, tra inaugurazioni, rituali, discorsi ufficiali, non fu facile per una donna come lei, caratterialmente accentratrice e desiderosa di conoscere a fondo le questioni di Stato, ma, al tempo stesso, profondamente attaccata ai valori e ai doveri familiari. Alle vicende che, in qualche misura, colpirono la famiglia - dagli amori della sorella Margaret a quelli dei figli fino alla tragica morte di Diana - il volume della Floc'hmoan dedica, senza indulgere al gossip, molto spazio sottolineando però sempre la forza di carattere di Elisabetta e la sua capacità di depotenziare i pericoli per la popolarità della istituzione.

Da esso emerge il ritratto di una grande sovrana che ha assistito e accompagnato la graduale trasformazione del glorioso impero britannico nel moderno Commonwealth e che, contemperando il rispetto della tradizione con l'adattamento ai tempi moderni, ha saputo raccogliere la nazione attorno alla sua figura.

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