Questa parola che evoca atmosfere quasi mistiche indica, semplicemente, un “antico arnese per annacquare e freddare il vino” (Zingarelli) che nel tempo ha avuto fogge diverse, descritte nei vari dizionari in maniera sempre complicata (anzi: quasi incomprensibile). Il più chiaro è il Gabrielli: “Recipiente per liquidi, di vetro o metallo, a forma di bottiglia, di fiasco e simili, con un vano interno per il ghiaccio che ne rinfresca il contenuto”. E' insomma quella caraffa che s'incontra tuttora di frequente in rinfreschi e banchetti, che permette a bibite e aperitivi di beneficiare della temperatura del ghiaccio, senza che questo, sciogliendosi, possa annacquare la bevanda.
In origine, spiega il Pianigiani, era una specie d'imbuto cilindrico con uno o più fori all'estremità per riempire lentamente un vaso; poi vaso per lo più di stagno che si mette nel ghiaccio o nella neve per raffreddare l'acqua o il vino nell'estate. La Crusca distingue: “In Toscana la cantimplora è un vaso di vetro che empiendosi di vino ha nel mezzo un vaso, nel quale si mettono pezzi di ghiaccio, o di neve per rinfrescarlo. Alla corte si chiamano cantimplora quei vasi d'argento o di altro metallo che capaci d'una o più bocce di vetro servono per rinfrescare il vino e le acque col ghiaccio”.
La maggior parte dei dizionari fa risalire il termine allo spagnolo cantimplora o canteplora, che il Pianigiani riporta al latino canna impletoria, canna da empire.
Ma è convincente anche la tesi del Treccani, secondo il quale la derivazione va attribuita al francese chantepleure, letteralmente canta-piange, per il rumore che vi fa il liquido. Il Rigutini e Fanfani registra che a Firenze il termine viene corrotto in Cantinflora.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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