Dal rigattiere di parole: Carato

E' un'unità minima di peso e serve a misurare oro, gemme, perle. Quanto il termine sia antico emerge a prima vista dalla derivazione: il carato, dal greco keràtion, passato all'arabo qirat, era il nome del seme della carruba, quel frutto dal baccello bislungo, scuro, tortuoso, schiacciato, usato soprattutto per l'alimentazione animale. I semi della carruba furono usati fin dall'antichità come unità di peso soprattutto in virtù della loro regolarità: sembravano tutti uguali. In questa scala metrico-vegetale essi corrispondevano alla metà di un lupino, altro seme, e a quattro grani d'orzo. Il valore attribuito al carato era 1/24 di oncia; oggi corrisponde a 0,20 grammi, e un grano pesa 0,25 carati, cioè 0,05 grammi. La sua definizione precisa fu introdotta nel 1832 in Sudafrica, poi standardizzata a livello internazionale nel 1907.

Dal rapporto con l'oncia, il carato ha preso a rappresentare il grado di purezza dell'oro, indicato con una scala di 24 valori: così l'oro purissimo è quello a 24 carati, mentre quello a 18 carati si compone di 18 parti d'oro e 6 di lega di metalli diversi, e quello a 12 carati è metà oro e metà lega. Tutto ciò ha origini antichissime, presso greci, arabi, alchimisti. Poi, nel Medioevo, la voce è passata a identificare anche le 24 quote in cui veniva suddivisa la proprietà di una nave mercantile; e sempre rimanendo al linguaggio marittimo, carato era anche “la parte che tocca a ciascuno dell'equipaggio secondo il grado. E così viene a significare paga, salario” (Fanfani). Nel linguaggio commerciale carato o caratura significano anche quota parte o partecipazione in una società, specie di persone; talvolta anche il titolo azionario di una società di capitali.

Tutto questo ha ammantato il nome del seme di carruba di un

aspetto molto nobile - ben più nobile del suo aspetto rustico -, legato alla perfezione, alla qualità, alla bontà. Così, in senso figurato, una persona “di caratura”, è considerata autorevole, di peso, intemerata e specchiata.