Cultura e Spettacoli

Il rivoluzionario del teatro che vedeva oltre il sipario

È morto a 81 anni il regista che più ha innovato la scena italiana. Dall'"Orlando furioso" fino alla lirica e ad Euripide, ha «fatto parlare» i testi e reso sperimentali anche i classici

Il rivoluzionario del teatro che vedeva oltre il sipario

Quando avevo diciassette anni mi capitò per la mani un libro, il cui titolo mi colpì come un sasso: Il rito perduto. Saggio su Luca Ronconi . L'autore era Franco Quadri. Io nutrivo a quel tempo una passione disordinata e assoluta per il teatro ma non sapevo chi fossero Luca Ronconi, né Franco Quadri. Leggevo decine e decine di testi teatrali di tutti i tempi e di tutti i luoghi, che per me erano successioni di battute, una dietro l'altra, ma sapevo che c'era qualcosa che non comprendevo.

Ecco, pensai. Forse quello che sto cercando è proprio questo: un rito perduto, un rito che non c'è più. Una celebrazione religiosa di cui oggi non ci resta che una serie di arredi messa in fila dentro le teche di un vecchio museo. Oppure un canto sacro, di cui permane l'eco tra le volte della chiesa, dopo che è finito, e voi entrate proprio allora, e sentite quell'eco. Così lessi quel libro, con ingenua caparbietà. Vi giuro, benché avessi già letto quasi tutto Shakespeare, e i tragici Greci, e Racine, Molière, Goldoni, Pirandello, e perfino Cechov e Beckett, fu quel libro a spalancarmi le porte di quei tesori.

Luca Ronconi è stato uno dei grandi intellettuali europei dal Dopoguerra a oggi. La sua centralità non soltanto nel teatro mondiale, ma nella cultura nel senso più ampio, lo avvicina a personaggi delle discipline più diverse, filosofi, scienziati, scrittori. La sua distanza da un Gadamer è molto minore di quanto appaia. Luca Ronconi non è stato, insomma, solo un uomo di teatro: è stato anche e soprattutto un uomo di pensiero, che ha usato la lingua del teatro per svolgere la sua lucida, coerente e drammatica visione del mondo.

I tratti caratteristici di questa visione rifulgono in quello che è forse il suo spettacolo più celebre (tra i tanti): l' Orlando furioso . Per Ronconi non esistevano testi «teatrali» e testi «non teatrali». Per lui tutti i testi, se sono testi, sono teatro: un romanzo, un poema, un articolo di giornale. In tanti, direi quasi tutti, in seguito, hanno percorso questa via, ma lui è stato il primo, e il migliore. Nell' Orlando furioso convivono elementi incompatibili: una certa passione per il mistero da un lato e, dall'altro, l'esibizione delle macchine teatrali, del trucco. Se l'espediente - mostrare tutto, non fingere, non creare l'illusione della «vita vera» - poteva essere ricondotto a Brecht, il modo di farlo proprio fu da subito ronconiano, e solo ronconiano.

A Ronconi non interessava cancellare l'illusione, ma piuttosto mostrarne la meraviglia proprio nell'istante in cui essa si rivela per quel che è. Barocco e illuminista al tempo stesso, Ronconi usò ciò che del teatro non viene meno per recuperarne anche gli aspetti volatili. Un'opera teatrale o letteraria è sempre l'esito di un contratto tra un determinato autore e un determinato pubblico in una determinata epoca. Se così è, come possiamo conservarne tutto il sapore una volta che a quel contratto se ne è sostituito un altro?

Certo, un grande classico oltrepassa certi limiti, ma ugualmente una magia si perde, un retrogusto si dissolve: è come ammirare una città antica quando non si sa più chi furono i suoi costruttori. Per quello che capisco, Ronconi ha affrontato questo problema a partire dalla struttura dei testi. L'impianto, la forma andavano compresi prima dell'affronto di ogni contenuto. Solo un a-fondo sulla struttura dell'opera poteva far riguadagnare allo spettatore la via per comprenderne in modo corretto il contenuto, il cosiddetto «messaggio», fino allo struggimento del cuore.

Il risultato è stato perlopiù mirabile. Nessun regista ha mai saputo far parlare i testi come lui. La ritrovata chiarezza delle linee strutturali rendeva tutto più comprensibile, illuminava pagine oscure, insinuava giusti sospetti in quelle troppo chiare. Per lui non esistevano pagine facili: la facilità è oscura, ambigua, solo la difficoltà è chiara. Nessun testo, nessuna epoca, nessuna visione del mondo è stata estranea alla sua indagine. La sua sterminata cultura è stata un dono inestimabile, un dono che dovremo imparare a conoscere meglio per poterlo conservare.

Da ultimo: tra i suoi spettacoli, continuano a tornarmi alla mente Medea e Le Baccanti , due testi di Euripide, che fu a sua volta tragico, barocco e illuminista. Due spettacoli straordinari, dalla potenza devastante. Ho il sospetto che Euripide sia stato l'autore non dico preferito, ma il più simile a lui.

Anche lui tragico, anche lui lucido, anche lui testimone di un mondo che sta per finire, ma di cui un racconto rigoroso può aiutarci a conservare il senso.

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