Cultura e Spettacoli

Schioppi, amori, soldi L'epopea paesana dei briganti "nordisti"

Dalla vendetta di Zanzanù al seduttore di mondine Biondin. Quattro secoli di storia d'Italia in quattro uomini fuorilegge

Schioppi, amori, soldi L'epopea paesana dei briganti "nordisti"

Sono cinque storie di ferocia, di ingiustizia, di terrore e anche d'amore, quelle che Silvino Gonzato racconta in Briganti romantici (Neri Pozza, pagg. 255, euro 18). Protagonisti i briganti, dunque. Ma non per un ennesimo saggio - intriso di politica, di sociologia, a volte di nostalgie borboniche - su quell'impressionante fenomeno che fu il brigantaggio meridionale dopo l'Unità. Soltanto uno dei briganti narrati da Gonzato rientra in quel filone, e non si tratta d'un brigante, ma d'una brigantessa, Michelina di Cesare di Caspoli nel Casertano, già peraltro ladra di capre e di polli, che raggiunse nel bosco un ex sergente borbonico del quale s'era innamorata. I restanti quattro ritratti sono «settentrionali», e abbracciano un arco di tempo che va dal Seicento al Novecento. A dimostrazione di come un filone criminale abbia accompagnato, dovunque, le vicende della Penisola.
Come scrive Gonzato nell'introduzione, vi fu nelle azioni a volte efferate di quei malavitosi anche una ribellione alle iniquità che vedevano. In alcuni casi s'erano dati alla malavita a causa delle sopraffazioni dei potenti. Erano spietati ma non abbietti. Abbietto era invece il campionario umano che li circondava, complici o sbirri o sicari o delatori o cacciatori di taglie. Avevano il più delle volte, i briganti, il sostegno dei popolani affamati e bistrattati. C'era del Robin Hood in alcuni dei loro comportamenti, non c'era invece nessun afflato religioso nei comportamenti di preti e arcipreti dediti al contrabbando quando non anch'essi agli ammazzamenti.
Eccoci allora all figura di Giovanni Beatrice detto Zanzanù - siamo nel Seicento, a Gargnano sul Garda - diventato bandito per vendicarsi d'una fazione rivale che gli aveva ucciso barbaramente il padre nella piazza del paese. Zanzanù era figlio di un oste - osti e osterie ricorrono frequentemente, come nei Promessi sposi, in questi racconti d'altri secoli. Da quelle parti imperversavano i «cappelletti», che erano soldati mercenari di origine albanese o dalmata, così chiamati per i loro copricapo di cuoio con penne color argento. Questi gentiluomini erano cacciatori di taglie, professione redditizia che consisteva nel catturare o far fuori spicciativamente i fuorilegge sui quali - come nel caso di Zanzanù - pendesse una taglia. Dei fuorilegge ostentando poi la testa come trofeo. Spiega Gonzato che i «cappelletti», quando tornavano da perlustrazioni infruttuose, «tagliavano la testa al primo che incontravano. Avevano anche fama di stupratori e ladri, per cui la popolazione temeva più loro che i più sanguinari banditi».
Finché, braccato dai cacciatori di taglie, Zanzanù fu ucciso e decapitato. Aveva 41 anni, ma veniva considerato un veterano. Antonio Tosolini detto Menotto - siamo verso la fine del Settecento - era di Tricesimo, in Friuli. Signorotto di Tricesimo e dintorni era il conte Antonio Valentinis. Quasi tutti gli uomini di quell'area lavoravano per il conte in cambio di un salario miserrimo. Il Valentinis accusò il Tosolini d'essere svogliato nel lavoro - forse lo era davvero, essendosi innamorato - e tra i due ci fu un alterco. L'indomani mattina il giovanotto - siamo nel 1779 e aveva vent'anni - fece un fagotto delle sue poche cose, si munì d'un archibugio e si diede alla macchia. Dopo quindici anni e molte imprese banditesche, preso prigioniero salì sulla forca.
Mayno della Spinetta aveva anche lui vent'anni quando le cannonate della battaglia napoleonica di Marengo, nel 1800, ammorbarono quella piana con i cadaveri di quindicimila soldati. I francesi vittoriosi si meritarono l'odio di gran parte della popolazione con le loro angherie e i parroci sobillavano il popolo. La coscrizione obbligatoria accrebbe il malcontento. In un'osteria di Tortona, Mayno affrontò, pare per via di una ragazza che era la figlia dell'oste, un ufficiale francese. Arrestato, riuscì a scappare e divenne guerrigliero. Nel 1804 si sparse la notizia, non del tutto infondata, che la banda di Mayno avesse assaltato la carrozza di Pio VII diretto verso Parigi dove avrebbe incoronato imperatore Napoleone. Mayno, che aveva grande fantasia, molta crudeltà e infinita presunzione, si proclamò a un certo punto re di Marengo e imperatore delle Alpi. Morì in uno scontro con i gendarmi francesi che lo braccavano.
A Michelina di Cesare ho già fatto cenno. Ultimo dell'elenco di Gonzato - e siamo ai primi anni del Novecento - è il vercellese Francesco Demichelis, soprannominato il Biondin, un giovanotto galante e azzimato, amante dei valzer nelle aie con le mondine, datosi al brigantaggio temendo d'essere arrestato per omicidio volontario dopo che aveva ucciso un rapinatore. Anche lui morto in un conflitto a fuoco, questa volta con i reali carabinieri.
Vite di gente che alla delinquenza era approdata perché la sorte aveva deciso così, ma che nel delinquere si distinse. Briganti, ma anche un po' capipopolo, talvolta eroi locali.

Ammirati e osannati, come accade anche oggi.

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