Se sul tatami c’è Klein il judo diventa un’arte

Se sul tatami c’è Klein il judo diventa un’arte

C’è un’immagine che non solo sintetizza alla perfezione la poetica di Yves Klein, ma in qualche modo è rappresentativa della condizione dell’artista. È una piccola fotografia in bianco e nero dal titolo Salto nel vuoto, un giovane uomo sospeso nell’atto di cadere eppure tenuto ancora in equilibrio. Realtà o finzione, verità o menzogna? Non esiste una risposta sicura... Questo straordinario genio francese, che nel 1957 espone alla galleria Iris Clert di Parigi il vuoto assoluto, inventa l’IKB, il blu Klein, ovvero il pigmento dalla formula misteriosa e irriproducibile in stampa, e scompare all’improvviso nel 1962, tradito dal cuore malato, ad appena 34 anni, ha capito che l’arte si deve liberare dallo stereotipo di genio e sregolatezza. Al contrario, si tratta di disciplina, allenamento fisico, estremo rigore: tutte cose che vanno nutrite dall’abitudine allo sport, il modo migliore per arrivare a conoscere se stessi per poi salire su un altro ring.
Non è l’unico caso di artista irresistibilmente attratto dal culto del corpo e dal fascino della sfida. L’architetto e fotografo Carlo Mollino, già quarantenne, scopre lo sci, ne diventa assiduo praticante. Ancora a proposito di sport invernali, un giovane Michelangelo Pistoletto negli anni ’50 insegna ai turisti in Val di Susa, mentre Gianni Piacentino ha gareggiato da motociclista semiprofessionista.
Apparso come una meteora alla fine del lungo periodo informale, Yves Klein è molto noto per i monocromi blu e per le antropometrie, un’anticipazione della Body Art:prende le modelle e ne imprime i corpi intinti di pigmento trascinandoli su grandi teli bianchi. Meno studiati sono altri linguaggi da lui ritenuti importanti almeno quanto l’arte, come il judo e il teatro, su cui punta la mostra che si aprirà il 6 giugno al Palazzo Ducale di Genova (fino al 26 agosto), esaminati sia dal punto di vista dello storico tradizionale, Bruno Corà, che della cintura nera, Sergio Maifredi.
Già negli anni ’50 Klein frequenta un corso di judo a Parigi insieme ad Arman, artista suo grande amico. Talmente affascinato da questa disciplina del corpo e della mente, parte per il Giappone con l’idea di provare a fondere arti marziali e ritualità dell’antico teatro No e Kabuki, ma anche intrigato dall’eroismo tragico di Mishima. Al ritorno in Europa, nel 1954 pubblica un piccolo libro I fondamenti del judo, ristampato in Italia da ISBN nel 2007.

A Genova vedremo il risultato di tale passione: schizzi, appunti, disegni al tratto con cui Klein studia posizioni e strategie di combattimento, fotografie scattate durante le sedute di allenamento sul tatami, il progetto di un film che avrebbe dovuto far conoscere agli amanti dell’arte l’anima nipponica. Meglio l’artista del nulla o il rigoroso atleta? Si tratta di un vero e proprio combattimento interiore, di una lotta tra la vocazione di pittore e quella di salire al settimo Dan.

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