Cultura e Spettacoli

"Sparire per un po'? Una soluzione contro lo stress"

Dalle certezze della Roma bene al Giappone misterioso. Il romanzo surreale di Fabio Viola, lo scrittore che piace agli scrittori

"Sparire per un po'? Una soluzione contro lo stress"

Ennio conosce bene l'arte di apparire: ai colloqui di lavoro ha una borsa di pelle di Hermès, comprata per ingannare l'attesa al duty free di Fiumicino, e una cravatta che persino i giapponesi trovano appariscente. Gialla con i pesciolini colorati. Però è di Fendi. È un ragazzo della Roma bene che mentre studiava Lettere a tempo perso viveva in una casa da fare invidia ma che non ha fatto nulla per «conquistarsi». Difficile trovare uno più snob dei suoi, anche se sua madre «sembra un personaggio dei Vanzina». E difficile anche non capire al volo chi è «Renzo, un nostro caro amico architetto», quando pensa di presentarlo a Elisa, la sua fidanzata. Ma un giorno Elisa scompare in Giappone, dove si era trasferita per insegnare italiano. Ennio decide di andarla a cercare a Osaka e ancora non sa che apprenderà un'altra arte: quella di «sparire».

Così comincia appunto Sparire (Marsilio, pagg. 285, euro 17,50), secondo, ambizioso, «sperimentale» e riuscito romanzo di Fabio Viola, amatissimo dai colleghi scrittori, da Roberto Moroni a Teresa Ciabatti anche se autore del tutto fuori dal coro degli «ombelicali italiani». Già in bilico con la surrealtà nel precedente Gli intervistatori (Ponte alle Grazie), qui è coinvolto in un percorso entropico dall'Italia al Giappone, in cui la sparizione, tema caro alla letteratura e alla cultura pop, da Salinger a Chi l'ha visto? ma anche alla cronaca, da Federico Caffé ai 10mila che scompaiono in Italia ogni anno. Nelle prime pagine prevale il tono Lost In Translation, alla fine vincono Kobo Abe e Kawabata Yasunari intinti, a dire dell'autore, in un bagno europeo di Gombrowicz, «nel tentativo di interpretare anche i segni minuti che non significano niente».

Quando dice «sparire», che cosa intende?
«Nel romanzo, la sparizione è declinata in vari modi: quella iniziale della ex fidanzata del protagonista; la sparizione a cui va incontro lo stesso Ennio; la sparizione della trama».

In che senso?
«Si assiste a uno sfaldamento della realtà prima e della voce narrante poi, fino alla sparizione di una narrazione che abbia un capo e una coda».

Una scelta audace in un momento in cui si torna al romanzo classico, alla storia d'amore...
«Scrivo per una forma di rispetto nei confronti della realtà caotica e complessa. Sono a disagio con il concetto di “trovare conforto nella letteratura” per dare una visione del mondo rassicurante. Non amo la letteratura civile o di denuncia sociale, di impegno, “documentaristica”, né quella che predica “le piccole gioie della vita nonostante le avversità”».

Sparisce altro?
«In modo più elastico e ampio, sparisce il desiderio. Ennio ha una vita spenta, è preda di un'apatia che lo costringe a concentrarsi sul ricordo. In Giappone, in un ambiente che lui trova alienante, può addirittura ricreare ricordi e realtà con le sole parole».

Perché il Giappone?
«Ci ho insegnato quattro anni e ci tornerò. È l'unico posto dove mi sento a casa. Ho cominciato il romanzo quando ci sono tornato per lo tsunami e l'emergenza nucleare e in quel periodo ho visto per la prima volta i miei amici impegnarsi politicamente. Per poi tornare, un anno dopo, al loro profilo sonnolento e iperdinamico».

Fuor di romanzo: sparire si può o si deve?
«Può rivelarsi un antidoto all'apparire da cui comunque siamo tutti condizionati. Anzi, in qualche modo auspico che sia possibile, nella vita di tutti, una soluzione controllata: organizzare sparizioni temporanee, decidendo quando riapparire, per gestire lo stress e la pressione della realtà quotidiana».

In Giappone è possibile?
«In Giappone ci sono apposite agenzie, abbastanza segrete, che aiutano a far perdere le tracce di sé. I giapponesi vi si rivolgono per motivi concreti, di solito: economici o sentimentali, baratri in cui non vogliono trascinare tutta la famiglia. Ho un amico che ha un padre scomparso così».

Per gli scrittori ha senso apparire?
«Io faccio una vita da recluso. Sto sempre in casa e non penso ad altro che a quello che potrei scrivere. Il prossimo romanzo sarà basato sullo spionaggio dei miei vicini, due dirimpettai di terrazzo a portata di occhi e di orecchie. Hanno una casa sterminata e passano la giornata coi cocktail in mano.

Li ho già trasformati in due sadici, cinici mostri che lavorano nella televisione».

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