Giunge a un epilogo, almeno da un punto di vista giudiziario, uno degli eventi più terribili e controversi della Seconda guerra mondiale: l'eccidio di Cefalonia (in cui dopo feroci combattimenti fra italiani e tedeschi morirono per fucilazione sommaria molti militari della divisione Acqui). L'ex militare tedesco 91enne Alfred Stork, condannato un anno fa all'ergastolo per aver partecipato alla fucilazione di «almeno 117 ufficiali italiani», nel settembre 1943, ha rinunciato al ricorso in appello.
La sentenza di primo grado, dunque, è ora destinata a diventare definitiva. Stork che all'epoca dei fatti aveva vent'anni ed era caporale dei reparti di fanteria da montagna della Wehrmacht, per sua stessa ammissione (di fronte a una commissione di inchiesta tedesca del 2005) partecipò alle fucilazioni: «Erano stati portati con un camion. Erano in piedi, 5 alla volta a circa 8-10 metri da noi... Dovevamo sparare in tre su ognuno: uno in testa e due al petto... Li dovevamo spostare di lato. Gli italiani che arrivavano successivamente con il camion, vedevano in terra i cadaveri, pertanto sapevano che fine avrebbero fatto. Mi sono meravigliato della loro tranquillità...». Contumace, si è però sempre disinteressato alle vicende del processo italiano, conclusosi il 18 ottobre 2013 con la sua condanna all'ergastolo. Il tribunale militare di Roma aveva accolto le richieste del pubblico ministero, Marco De Paolis, che aveva sollecitato il carcere a vita. Alla richiesta del pm si erano associate le parti civili (i parenti delle vittime, la presidenza del Consiglio dei ministri, l'Anpi e l'Associazione divisione Acqui). Il difensore di Stork aveva invece chiesto l'assoluzione, per assenza di prove e perché il suo assistito era stato costretto a obbedire agli ordini. Secondo la versione di Stork (sempre alla commissione d'inchiesta tedesca): «Un ufficiale è arrivato nel nostro campo. Ci ha detto che dovevamo uccidere questi italiani e che fuori era già stato preparato tutto...».
Queste testimonianze che in parte suffragano la tesi dell'accusa, secondo cui Stork avrebbe fatto parte di uno dei plotoni di esecuzione attivi alla «Casetta Rossa», dove fu sterminato lo stato maggiore della Acqui, sono state però inutilizzabili nel processo italiano perché rilasciate in assenza dell'avvocato difensore, e l'imputato non ha mai voluto ripeterle dopo la chiusura dell'inchiesta tedesca (che mirava a perseguire gli ufficiali, non i militari semplici, e fu archiviata). Ora dopo la rinuncia al ricorso di Stork, il processo di secondo grado, già fissato per il 15 ottobre prossimo presso la Corte militare d'appello, è stato tolto dal ruolo. È invece prevista per il 23 settembre un'udienza nella quale verrà dichiarata l'esecutività della sentenza di primo grado.
Secondo il procuratore militare «si apre per noi la fase dell'esecuzione penale». Però sono molti i casi di condannati in via definitiva per crimini di guerra che non sono mai stati consegnati all'Italia e che non scontano la pena in Germania.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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