Cultura e Spettacoli

"Da Tenco fino a Faletti dopo undici edizioni mi confronto con i giovani"

"L'usignolo di Cavriago" pronta per l'Ariston: "Non volevo andarci, mi ha convinto Amedemo".

"Da Tenco fino a Faletti dopo undici edizioni mi confronto con i giovani"

L a voce no, quella non cambia: è sempre squillante. Orietta Berti festeggia cinquantacinque anni di carriera (gavetta esclusa) partecipando per la dodicesima volta al Festival di Sanremo, l’unica rappresentante della «vecchia guardia» che oggi abbia ancora voglia di confrontarsi con il pubblico, la tv, la critica. Non l’ha mai vinto, ma l’ha vissuto fino in fondo. Come ha detto all’AdnKronos, è il suo «primo Festival con gli anticorpi». Ha avuto il Covid e, anzi, Amadeus l’ha invitata proprio mentre era nel pieno della malattia e «mio marito Osvaldo stava peggio di me». Insomma, a 77 anni, Orietta Galimberti detta Berti, da Cavriago provincia di Reggio Emilia, a Sanremo farà il passaggio di consegna con la nuova generazione della canzone italiana, quella dei Comacose o di Fulminacci che arriva all’Ariston per scommettere sul futuro. «Ma mica volevo andarci, a Sanremo», dice lei.

E chi l’ha convinta?

«È stato Amadeus. Mi ha chiamato mentre avevo il Covid. Lì per lì gli ho detto: «Ma Amedeo, qui manco so come starò, forse mandano me e Osvaldo addirittura in ospedale. Lui mi ha convinto. E ora sono contenta di aver accettato».

Un grande nome della «vecchia guardia» ritorna al Festival ventinove anni dopo l’ultima volta.

«Sì, io sono le “radici” della canzone popolare e non mi vergogno di portare una canzone tipicamente italiana. Con tutta la gente che guarda Sanremo, ce n’è per tutti i gusti, non solo per chi ama questi ragazzi che ora parlano invece di cantare».

Ha debuttato nel 1966.

«Avevo vinto Un disco per l’Estate e Gianni Ravera mi propose di andare al Festival. Ero in coppia con Ornella Vanoni per un pezzo molto bello,Io ti darò di più. Lei avrebbe preferito avere un partner maschio e si era un po’ arrabbiata».

L’anno dopo tornò in gara. L’anno di Tenco.

«La mia canzone Io, tu e le rose risultò la più votata dal pubblico. Tenco non fu “salvato” dalla giuria di qualità. Poi accadde quello che tutti purtroppo sappiamo».

In un biglietto attribuito a Luigi Tenco c’era scritto che il gesto era una «protesta contro un pubblico che manda in finale una canzone come Io tu e le rose e una commissione che seleziona La rivoluzione».

«Il mattino dopo la morte di Tenco, suo fratello mi telefonò per dire che la grafia non poteva essere quella di Luigi. E un giornalista famoso, Sandro Ciotti, mi fece notare che non poteva esser stato Tenco a scrivere quel biglietto perché c’erano addirittura tre errori di ortografia».

Per Orietta Berti fu un dramma nel dramma.

«Da allora gli stessi giornalisti che avevano votato contro Tenco se la presero con me. Ne soffrii molto».

Orietta Berti, quanti dischi ha venduto?

«Circa sedici milioni con la Phonogram, dei quali nove solo con Finché la barca va».

A Sanremo avrebbe dovuto esserci una barca per il pubblico e lo staff.

«Meno male che hanno cambiato idea».

La critica su di lei ha cambiato idea?

«Sì, la nuova generazione dei giornalisti adesso mi tratta bene».

Ma prima?

«Sono stati decenni di frecciatine e allusioni continue».

Ad esempio?

«Mi bollavano come una ragazza di campagna che non sapeva vivere. Una volta un giornalista venne a casa mia e poi scrisse che era arredata “da mobili di Aiazzone”. In realtà erano tutti del Settecento perché Osvaldo ed io abbiamo sempre avuto la passione per i mobili antichi. Ho avuto una carriera piena di queste cose».

La più fastidiosa?

«Un giornalista scrisse che mio marito aveva sperperato 70 milioni al Casinò o che mi tradiva con l’assistente. Poi dicevano che mi facevo fare gli abiti dalla sartina del paese quando, invece, li compravo da Pinuccia, una delle boutique più chic di Milano».

Ha appena pubblicato il libro Tra bandiere rosse e acquasantiere. Bel titolo.

«Mia mamma era una partigiana e attivista comunista. Mio padre l’esatto contrario. Oh, Cavriago è il comune più rosso d’Italia, c’è anche una statua di Lenin. L’Urss aveva ringraziato il comune perché aveva mandato una donazione di 500 lire».

Lei ha mai votato Pci?

«Solo una volta, per Berlinguer. Poi ero sempre in tour e non votavo...».

Torna al Festival 29 anni dopo. L’ultima volta era in coppia con Giorgio Faletti.

«Con il brano Rumba di tango. Fu una settimana d’oro, con Faletti felice come un ragazzino di salire sul palco più famoso d’Italia.

Quanti bei ricordi, sa?».

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