Tre eroi borghesi nell'Italia delle Br

Fa discutere la fiction Rai su Calabresi, Sossi e un ingegnere Fiat: non vuole edulcorare le responsabilità degli estremisti rossi

Tre eroi borghesi  nell'Italia delle Br

Anni duri, difficili. Ma soprattutto anni torbidi in cui i confini fra terrorismo, estremismo politico e mondo «normale» divennero estremamente labili, porosi. Parliamo della fine del decennio dei Sessanta, segnato dalla fumante voragine della bomba di Piazza Fontana, e del sanguinoso decennio seguente, culminato con il calvario di Aldo Moro. Un periodo difficile che rivive ne Gli anni spezzati, la trilogia che Raiuno manderà in onda a gennaio in 6 puntate. E che il prodotto farà discutere, e molto, è già scontato. Graziano Diana, regista di questi 600 minuti che condensano un pezzo di Storia d'Italia, non ha fatto nulla per edulcorare la narrazione. Intrecciando tre vicende amare restituisce lo Zeitgeist di quell'Italia piena di bombe e P.38.
La prima esistenza spezzata a venir raccontata (due puntate in onda il 7 e l'8 gennaio) sarà quella del Commissario Luigi Calabresi, messo sotto tiro da gran parte della stampa e degli intellettuali italiani per la morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra della questura di Milano il 15 dicembre 1969. Isolato e accusato assurdamente persino di essere stato un agente della Cia, venne ucciso il 17 maggio 1972 da membri del gruppo extra parlamentare Lotta Continua. Altre due puntate (in onda il 14 e 15 gennaio) saranno dedicate al rapimento del magistrato genovese Mario Sossi, sequestrato dalle Brigate rosse nel 1974. Gli ultimi due episodi (27 e 28 gennaio) racconteranno il clima incandescente alla Fiat di Torino alle soglie degli anni Ottanta. Al centro della vicenda, in questo caso, un personaggio immaginario, Giorgio Venuti, il quale si trova a firmare 61 lettere di licenziamento indirizzate a operai sospettati di connivenze con il terrorismo. In questo caso il riferimento non è diretto, ma il regista ammette che a dare l'ispirazione è stata la morte dell'ingegner Carlo Ghiglieno, ucciso a Torino il 21 settembre del 1979.

Per dimostrare che portare in televisione vicende del genere non sia facile basta dare un'occhiata ai tempi di produzione. Il progetto era stato elaborato già nel 2005, ma il budget è stato risicatissimo: 9 milioni. Per arrivare alla messa in onda sono servite la maestria dello scenografo Giantito Burchiellaro e un po' di compromessi. Nemmeno la posizione dei parenti delle vittime è stata univoca. Lo stesso figlio del commissario, il direttore della Stampa Mario Calabresi, inizialmente non aveva approvato la realizzazione di una miniserie sul padre. «Questo progetto - ha spiegato ieri Alessandro Jacchia, produttore della serie - ha visto coinvolte tante famiglie, alcune come quella di Sossi e di Coco hanno collaborato raccontando aneddoti, dettagli, altre come Calabresi sono rimaste volutamente e legittimamente fuori».

A garantire sulla qualità e sull'equilibrio della serie sono principalmente due fatti. La serie ha il patrocinio dell'Associazione nazionale della Polizia di Stato e dell'Associazione Italiana vittime del terrorismo. E il gruppo di consulenti storici di prim'ordine che ha collaborato alla realizzazione delle puntate: Adalberto Baldoni, Sandro Provvisionato e Luciano Garibaldi, quest'ultimo autore di due libri, uno su Calabresi, l'altro su Sossi. Parlando con il Giornale così Garibaldi ci ha raccontato la genesi della sua collaborazione: «Sono stato contattato nel 2006. Ho subito detto di sì perché volevo fare un libro sull'argomento. Io ero amico di Enzo Tortora che aveva difeso Calabresi e pensava sempre di scrivere un libro sulla sua morte. Non fece in tempo, perché a sua volta vittima di una persecuzione giornalistica-giudiziaria. Così i fascicoli che l'avvocato Michele Lener, difensore di Calabresi, aveva promesso a Tortora, toccarono a me. E fu anche sulla base di quella documentazione che nel 1990 contribuii, come curatore, alle memorie di Gemma Capra Mio marito il commissario Calabresi».

Quanto alla necessità di un nuovo libro o del fatto che la vicenda Calabresi approdi in televisione: «In occasione del 35º anniversario dell'assassinio di Calabresi, nel 2007, scoprirono tre lapidi a Milano: sulla prima, in via Cherubini, dove fu assassinato, si legge che “cadde vittima del terrorismo”. Dizione che fa il paio con la lapide posta all'ingresso della caserma di polizia “Giuseppe Garibaldi”, in piazza Sant'Ambrogio, su cui si legge che il commissario fu “assassinato da mani eversive”.

Nella terza, quella dell'auditorium della Provincia, si legge: “Vittima della spirale della violenza politica”. Dizioni generiche e vaghe, perché di terroristi ve ne sono di infinite specie. Mentre Calabresi fu ucciso da esponenti di Lotta Continua. E questa verità è ancora difficile da dire».

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