La triste storia di un'immigrata quasi pentita

da Mantova

Potrebbe essere lo slogan di una campagna elettorale o di una rivoluzione: C'è bisogno di nuovi nomi (Bompiani, pagg. 266, euro 18), che verrà presentato oggi al Festivaletteratura (Palazzo Ducale, 16,45), è il titolo del romanzo d'esordio di NoViolet Bulawayo, nome d'arte di Elisabeth Zandile Tshele. «Violet - spiega - era il nome di mia madre. «Bulawayo è il nome della mia città natale. Visto che ho vissuto per 13 anni negli Usa, era un modo per riconnettermi con la mia terra». In effetti, la 33enne scrittrice africana una piccola rivoluzione, almeno letteraria, l'ha già fatta: la sua presenza in shortlist 2013 al Man Booker Prize ne ha fatto la prima donna africana di colore e il primo scrittore dello Zimbabwe a raggiungere tale risultato e il romanzo è stato tradotto in varie lingue. Mentre lei, emigrata a 18 anni negli Stati Uniti, è diventata Stegner Fellow alla Stanford.

Una storia di migrazione di grande successo, molto diversa da quella di Darling, la ragazza protagonista del romanzo, nata dallo sviluppo della short story Hitting Budapest , pubblicata nel 2011 sulla Boston Review : la conosciamo a dieci anni, voce narrante di bambina della baraccopoli di Paradise, mentre ruba prima la frutta in un quartiere residenziale, poi le scarpe a una donna impiccata nel bosco. «Il romanzo non è autobiografico, ma Darling ha preso in prestito da me l'esperienza di migrante, quel che significa lasciare casa, i riferimenti alla mia infanzia e ad amici e compagni, insieme alle storie che ho ascoltato da chi ha vissuto quello che chiamo “il decennio perduto”».

Nel racconto di Darling c'è l'Africa che forse immaginiamo: stregoni e profeti invasati, amuleti e moribondi malati di Aids, regime corrotto, elezioni-farsa, violenze dei militari. Ma lo sguardo di una bambina trasforma il reale in metafora. E quando Darling è negli States, la lontananza si trasforma in tradimento: tornare è necessario? «Amo lo Zimbabwe, ma ora non tornerei per sempre. Abbiamo lo stesso governo da 33 anni, non è aperto a invitare talenti, a condividere le posizioni di potere e chi vuole portare cambiamenti è frustrato.

Scrivere è già un modo per partecipare, non è necessario essere sul campo per far parte della conversazione. Se avessi dovuto essere là per scrivere il libro, non sarebbe mai stato scritto. Il fatto che io non glorifichi il governo è già un contributo. Si può essere artisti dovunque».

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