Cultura e Spettacoli

Tutti i segreti del patto tra Pio XI e Mussolini

Papa Ratti aveva visto nel Duce un'arma contro il comunismo. Ma la svolta razzista lo indignò

Tutti i segreti del patto tra Pio XI e Mussolini

C orrendo l'anno 1939 Pio XI, al secolo Achille Ambrogio Damiano Ratti, aveva perduto il suo tradizionale, a volte rabbioso, vigore. La bussola arrugginita e il barometro da ascensione che conservava nel suo ufficio erano ormai solo uno sbiadito ricordo delle sue scalate sulle Alpi. Papa Ratti si sentiva anziano, stanco, malato. Non poteva più permettersi i ritmi di lavoro con cui, un tempo, stupiva tutta la curia. Eppure, pur acciaccato, il pontefice compulsava e vergava convulsamente fogli su fogli. Perché? Perché sentiva incombere sulla Chiesa la minaccia del nazismo e, molto probabilmente, sentiva un grave peso dovuto ai suoi accordi con chi del nazismo era stato il primigenio modello: Benito Mussolini. Ratti era salito sul soglio di Pietro il 6 febbraio 1922, dopo 14 estenuanti votazioni che contrapponevano i cardinali «zelanti» (che rimpiangevano Pio X) ai così detti «politicanti» (che avevano sostenuto le aperture di Benedetto XV), nessuno si sarebbe aspettato l'elezione dell'ex bibliotecario vaticano. E quest'uomo amante della montagna, e dei libri, si trovò, da subito, a dover affrontare una situazione italiana terribilmente turbolenta che culminò con la Marcia su Roma del 28 ottobre 1922. E se in Italia il fascismo picchiava pesante sulle sedi del Partito popolare e dell'Azione cattolica o sui sacerdoti che si opponevano alla presa di potere da parte delle camicie nere (il caso più noto è quello di Don Minzoni che la sera del 23 agosto 1923 venne ucciso con una bastonata alla nuca in un agguato squadrista) in altre nazioni il pericolo comunista sembrava essere addirittura peggiore. Un peso davvero grande per un nuovo Papa. Fu in questo contesto che Mussolini, noto mangiapreti in gioventù, operò un radicale e strategico cambio di rotta per svuotare dall'interno l'opposizione del Partito popolare. Iniziò ad ergersi a baluardo della tradizione cristiana e cattolica... Primo capo del governo italiano a farlo, nominò Dio in un discorso parlamentare. Quando poi incontrò in segreto il Cardinal Pietro Gasparri, segretario di Stato Vaticano iniziò un lungo percorso di riavvicinamento che culminò con i Patti lateranensi (11 febbraio 1929) e sanò la pesantissima frattura tra il Vaticano e lo Stato italiano. Una frattura apertasi assieme alla breccia di Porta Pia. Fu il massimo momento di successo politico per Mussolini ma per Pio XI si tratto di un pericoloso Patto con il diavolo come racconta lo storico David I. Kertzer (Rizzoli, pagg. 556, euro 24). Kertzer, che insegna antropologia e storia alla Brown University, sfruttando anche la recente apertura degli archivi vaticani, ricostruisce il complesso rapporto che venne a svilupparsi tra San Pietro e l'altra sponda del Tevere. Se all'inizio Ratti vide in Mussolini l'uomo della Provvidenza pian piano l'avvicinamento ad Hitler del dittatore gli rese chiaro il pericolo delle sue scelte. Aveva tollerato le pressioni sull'Azione cattolica, aveva mantenuto un basso profilo sulla guerra d'Etiopia, accettato il fatto che molti prelati fossero fascistissimi. Tutto questo nella speranza che Mussolini potesse essere un baluardo contro il comunismo. Non poteva però tollerare che Hitler avesse azzerato tutta l'istruzione cattolica in Germania e poi annesso l'Austria tiranneggiandone i vescovi (che per altro si piegarono alquanto in fretta). E più il tempo passava e più l'Italia si appiattiva sulle posizioni naziste. Il colpo finale furono le leggi razziali.

Kertzer illustra bene tutte le ambiguità del cattolicesimo degli anni Venti rispetto alla questione ebraica ma di certo Ratti non era disposto a cedimenti sul tema della razza. Tanto che convocò il gesuita americano Jhon LaFarge che aveva fondato il concilio cattolico interraziale. Voleva una enciclica forte (Humani Generis Hunitas) di condanna del nazismo e del razzismo e anche del fascismo che su quelle posizioni si era appiattito. Non riuscì a terminarla prima di morire. La sua lotta contro il tempo lo portò sino alle soglie di una svolta epocale, per altro osteggiata da molti membri della curia. Ad esempio, un suo duro discorso di condanna contro il nazismo e il fascismo era pronto per essere pronunciato proprio in occasione del decennale dei patti lateranensi. Quando dopo la morte di Ratti il suo successore, Pacelli, si trovò in mano quel documento penso fosse bene tenerlo ben occultato negli archivi (e sul perché la discussione durerà a lungo). Rimase nascosto per decenni. Ora Kertzer ricostruisce tutta la vicenda con una copiosissima dose di documenti (il volume ha più di cento pagine di note) anche se non sempre vagliando a fondo tutte le fonti (i presunti Diari di Clara Petacci andrebbero usati forse con più prudenza).

E il libro farà discutere, perché attribuisce al Vaticano gravi responsabilità, o almeno gravi errori nel valutare il pericolo del fascismo.

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