Cultura e Spettacoli

Uomini o caporali? La scelta è nostra (e non ci sono alibi)

Tre magistrali racconti e un romanzo breve insegnano come la società corrompa solo chi vuole essere corrotto

Solzenicyn (1918-2008) non è stato solo l'autore dello straordinario Arcipelago GULag, di Una giornata di Ivan Denisovic, La casa di Matrëna, Il primo cerchio, Divisione cancro, del ciclo dedicato alla Rivoluzione russa… Dopo il suo ritorno in Russia, a cavallo degli ottant'anni, si dedicò a una ponderosa ricerca sullo scottante rapporto Russi-Ebrei e a una vivace attività pubblicistica, ma riprese altresì a scrivere opere di narrativa.

Di queste, la Jaca book pubblica ora tre racconti a dittico - Non importa, Sulle fratture e Zeliabuga e i suoi abitanti - e un romanzo breve - Adlig Schwenkitten -, sotto il titolo complessivo di Racconti di guerra (pagg. 247, euro 14). Il titolo è giustificato dal tema della Seconda guerra Mondiale che nei racconti costituisce la prima tavola del dittico, mentre il romanzo breve presenta uno spaccato dell'esperienza bellica dell'autore stesso in Prussia orientale (gennaio 1945).

Indipendentemente dalle circostanze, tuttavia, il soggetto di Solzenicyn è sempre l'uomo, l'uomo russo alle prese con scelte morali decisive, come avviene durante la guerra, ma anche nel momento cruciale della dissoluzione dell'Unione Sovietica. È questo infatti il tema della seconda tavola dei racconti a dittico, l'uomo nuovo, quell'uomo che la perestrojka ha solo annunciato, ma che, come l'ufficiale militare rimasto senza collegamenti e senza ordini comprensibili del romanzo breve, deve cavarsela da solo con la sua coscienza.
Non c'è spazio in questi racconti né per la retorica bellica, né per un eroismo di facciata, e neppure per un facile nazionalismo. Solzenicyn costruisce i suoi testi con una grande verosimiglianza che la pregevole traduzione di Sergio Rapetti non manca di riproporre, grazie anche all'indispensabile apparato di note. I protagonisti della guerra sono ingenui soldati imbevuti dell'ideale rivoluzionario oppure silenziosi conoscitori delle conseguenze dell'utopia comunista; alcuni hanno conosciuto la campagna russa e ucraina degli anni Trenta devastata dalla dekulakizzazione, tutti sono consapevoli del rischio di una scelta autonoma nell'ambito dell'Armata Rossa, con la sua doppia catena di comando, militare e politica. Cinquant'anni dopo, la scena cambia: è il tempo delle cooperative, delle banche commerciali, è il momento dei manager statali che si riciclano «sulle fratture del sistema precedente», degli spregiudicati ex-agenti del KGB, dei giovani svegli che vorrebbero risanare la Russia, ma partono col piede sbagliato….

L'attenzione del lettore, però, non è mai concentrata esclusivamente sulla società, sull'ambiente. Solzenicyn, erede della grande letteratura russa dell'Ottocento, mostra come la moralità del comportamento sia frutto di una coscienza responsabile, capace di trascendere i condizionamenti sociali: si può essere soldati ufficiali e valorosi, indipendentemente dal grado e dalle mansioni; o, al contrario, si può chiedere la corte marziale per un pugno di patate rubate in cambusa; tra i suoi personaggi c'è il burocrate di Mosca, che non tiene in nessun conto le conseguenze del suo progetto su uomini e ambiente; ma c'è anche chi ha il coraggio di abbandonare la gabbia dorata della nomenklatura con i suoi privilegi esclusivi per affrontare un lavoro davvero utile nel contesto sovietico. Così, il romanzo lungo è dedicato a due comandanti autentici dell'Armata Rossa, l'uno pluridecorato, l'altro morto pressoché senza lasciar traccia, ma che qui, grazie alle pagine di Solzenicyn, trova la sua glorificazione postuma. Sulle fratture traccia il percorso quarantennale di un giovane sovietico di grandi prospettive, la facile carriera nella nomenklatura, la fuoriuscita al tempo di Chrušhev, poi la carriera di manager di stato audace e responsabile, e infine il difficile ma vittorioso adattamento alle nuove condizioni post-sovietiche. Non importa mette invece a confronto l'atteggiamento indulgente dell'esperto comandante che non dà seguito all'eccessivo zelo del tenentino assetato di punizioni con la rigidità della burocrazia post-sovietica, che una volta presa una decisione, non può che portarla a compimento («Se una decisione è stata presa, e per giunta ratificata, nessuno può cambiarla»). Con Zeliabuga e i suoi abitanti il lettore viene coinvolto nel dispiegamento della batteria di artiglieria del capitano Solzenicyn sul fronte di Brjansk, al confine tra Russia, Bielorussia e Ucraina, nel luglio 1943: la difficoltà di operare in condizioni di fortuna, il confronto con le dotazioni e l'organizzazione della Wehrmacht, le conseguenze della guerra per la popolazione civile, la vita cameratesca dei soldati, l'amicizia cordiale con un parigrado, l'ammirazione per un degno superiore. Poi, cinquantadue anni dopo, due reduci tornano sugli stessi luoghi e vi ritrovano una donna incontrata allora, la quale, manco a dirlo, li aveva colpiti per la sua bellezza e gioventù. Ora è invecchiata, malamente invecchiata nella campagna russa, si è vista perfino sospendere le facilitazioni a cui aveva diritto. E i reduci intervengono una volta di più in suo favore: la solidarietà, il cameratismo senza retorica sono ancora i loro valori guida.

Così, con molto realismo, senza mai alzare la voce, Solzenicyn ci conduce ancora per la Russia. È la stessa Russia che aveva difeso armi in pugno, venendo decorato per il suo valore; ma come mostra la struttura a dittico è anche una Russia diversa, quella che nel 1994 lo accolse prendendone progressivamente le distanze, isolandolo, dichiarandolo superato.

A vedere quello che succede oggi tra gli stessi popoli slavi, i valori della solidarietà e dell'umanità autentica non erano poi così superati.

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