La vera scienza? È la figlia (ingrata) del cristianesimo

Ricordiamo un affollato dibattito al Salone del Libro dell'anno scorso, tema del contendere era la possibilità o meno di conciliare scienza e fede, a discuterne due volti noti: il matematico propagandista d'ateismo Piergiorgio Odifreddi e il teologo cattolico molto poco ortodosso Vito Mancuso. Proprio quest'ultimo esordì con un lungo elenco di nomi di stimati luminari della scienza dichiaratamente credenti. Odifreddi replicava subito che l'elenco era lunghetto, ma esaustivo. Ovvero, altri nomi da fare non c'erano, si trattava di una minoranza trascurabile nella comunità scientifica. Bisognerebbe allora indagare sulle credenze della maggioranza fra i non credenti, capire se si tratta di rispettabilissimi agnostici o convinti atei, magari di professione come Odifreddi. Per fare ricerca scientifica è sicuramente necessario un certo grado di agnosticismo, di dubbio, di libertà dalle visioni consolidate. Però sostituire le fedi tradizionali con quelle di riserva, come l'ateismo e lo scientismo (con tutto il loro bagaglio di preconcetti e dogmi) non è molto onesto intellettualmente.
Comunque, gli scienziati dei secoli passati, quelli che hanno permesso la tecnologia di cui disponiamo, furono veramente uomini di fede. Nella quasi totalità di fede cristiana, moltissimi i cattolici, tanti addirittura sacerdoti o membri di ordini religiosi. Profondamente credenti furono, per citare solo i più famosi, Pascal, Copernico, Keplero, Torricelli, Newton, Volta, Mendel, Pasteur, Cantor, Mercalli. Che la scienza occidentale sia figlia del cristianesimo appare evidente leggendo Scienziati, dunque credenti di Francesco Agnoli (Cantagalli, pagg. 185, euro 14). Questa paternità non dipende solo da fatti storici, infatti il saggio intende dimostrare «come la Bibbia e la Chiesa hanno creato la scienza sperimentale»: grazie alla concezione cristiana dell'universo, del mondo, dell'uomo non più sottomesso alle potenze della natura, come nelle religioni politeiste, ma signore della creazione per mandato divino. La stessa distinzione monoteista fra Dio e Natura desacralizzò la realtà esterna permettendone lo studio; fu la teologia, dunque, a preparare il terreno alla scienza. Ad esempio, molti lo ignorano, ma la stessa teoria del Big Bang la dobbiamo a sacerdoti, Roberto Grossatesta nel Medioevo e Georges Lemaître agli inizi del '900. Arrivando ai tempi moderni, pare che il cristianesimo si sia scavato la tomba da sé, a forza di desacralizzare il cosmo, creando scienza e tecnica. Figli irriconoscenti come lluministi e materialisti, si rivoltano così contro la religione, la bollano come ostacolo alla libera ricerca. E saranno loro a decidere cos'è libera ricerca. Così cominciano i paradossi e le censure. La condanna di Galilei sancita da inquisitori domenicani ancora legati a concezioni aristoteliche (mentre i gesuiti concordavano in tutto con lo scienziato pisano) è poca cosa se confrontata con le censure e le violenze fatte subire dai sovietici a scienziati liberi.

Agnoli ci ricorda che Zdanov, responsabile della cultura nell'Urss, criticò la fisica quantistica di Einstein e Planck perché «puzzava di metafisica», che il biologo di Stato Lysenko denunciò la «mentalità borghese» delle teorie di Mendel, che moltissimi furono i ricercatori spediti nei gulag perché non allineati. Ancora oggi dogmi ideologici e pressioni economiche possono soffocare o corrompere la libertà scientifica molto più di quanto faccia la Chiesa.

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