Zolla, lo sciamano che viaggiava fuori dalla storia

Zolla, lo sciamano che viaggiava fuori dalla storia

D ieci anni fa, proprio in maggio, Elémire Zolla lasciava a terra le sue spoglie di ultrasettantenne ed approdava nel continente metafisico che probabilmente già visitò nel corso della vita. «La metafisica è ben più che un linguaggio», aveva scritto, ma «un’esperienza che trasforma». È infatti credibile che l’aver frequentato per anni mistici, sciamani ed alchimisti gli abbia reso dolce il transito. Comunque rimangono le sue opere, fra le più preziose del Novecento italiano, perché a Zolla riuscì benissimo la missione di sprovincializzare la cultura del nostro paese, aprendola alle Americhe e all’Oriente. Si sentiva «alieno dalle imposizioni marxiste o fasciste» e alla furia fin troppo razionale degli anni di piombo rispondeva animando la rivista Conoscenza religiosa. La soluzione del problema uomo, della tragedia ripetuta chiamata storia, della nostra stessa esistenza, lui suggeriva di cercarla sulle orme dei classici, fuori dalla storia, oltre il rinserrarsi «nell’umano che soffoca». I suoi stessi libri, saggi dottissimi ma per nulla barbosamente accademici, sono promettenti inviti all’esodo. Ed è un bene che in occasione del decennale della dipartita Marsilio ripubblichi tre titoli, di conferma per i tanti appassionati e di stimolo per i neofiti. Il conoscitore di segreti è la «biografia intellettuale», metà storia della sua vita e metà raccolta di saggi e pezzi giornalistici, curata dall’orientalista Grazia Marchianò, moglie di Zolla negli ultimi anni. Tutte le fasi, le passioni, le sfide sono rammentate. Si comincia con gli esordi romanzeschi che Elio Vittorini non voleva con marchio Einaudi e con i pamphlet al vetriolo contro la massificazione culturale. Ma già alla metà degli anni Sessanta Zolla aveva superato l’ispirazione della Scuola di Francoforte per concentrarsi sulla Tradizione metafisica. Era il periodo del sodalizio con Cristina Campo, dell’antologia sui «mistici d’Occidente», dell’aristocratica resistenza al caos omologante sessantottino e al lassismo postconciliare che eliminava il latino, dimentica dell’aspetto magico della liturgia. Con la complicità di Alfredo Cattabiani, Zolla pubblicava il capolavoro di Tolkien, il dimenticato Pavel Florenskij, cattolici illuminanti come Jean Daniélou e Augusto Del Noce; ispirava poi la nascita della Adelphi che avrebbe scardinato il dominio sinistroide in libreria. Marsilio ripubblica anche I letterati e lo sciamano, frutto delle esplorazioni nel nuovo mondo, a contatto con le culture indigene, fra tamburi e calumet della pace. Zolla trovò negli indiani l’Abele pastore nomade ucciso dal civilizzato Caino incarnato dai bianchi, ma registrò anche le tracce dell’antica cultura sciamanica nella migliore letteratura statunitense. Il saggio risultò così brillante da segnare una svolta negli studi di americanistica. Terza gemma che Marsilio riporta in libreria è il capolavoro di vent’anni fa Uscite dal mondo. In quelle pagine Zolla dava istruzioni su come fuggire «dallo spazio che su di noi hanno incurvato secoli e secoli», su come liberarsi in vita «da tacite obbedienze e automatiche sottomissioni». E lo faceva donando al lettore «momenti di spassionata osservazione» e chiaroveggenza: la Firenze rinascimentale del Pico e del Ficino che inventò il più completo sincretismo religioso, le rune germaniche e il loro rapporto con lo zodiaco, i pensatori russi dei primi del ’900 che riscoprirono «l’Intelletto d’Amore» dantesco, il Pinocchio esoterico di Collodi e la figura del superuomo nella letteratura. L’opera si chiudeva con molta fiducia nei confronti delle promesse liberatorie della realtà virtuale. Zolla sposava così un certo gnosticismo, una certa ansia di liberarsi dal corpo, dalla materia.

Eppure con il suo testamento saggistico, dedicato al mito della discesa all’Ade e della conseguente resurrezione, si riavvicinava al cristianesimo. Un cristianesimo grande al punto da inglobare taoismo, buddismo e zoroastrismo, coincidenza degli opposti, cibo del sacro Graal.

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