Pier Augusto Stagi
Non lo dice, ma lo fa capire a chiare lettere: Damiano Cunego non vede l'ora di chiuderla lì, questa stagione. «È stata difficile, avara di soddisfazioni, adesso ho bisogno di resettare tutto e ricominciare da capo. Con calma, con traquillità, ripartendo da me stesso, dalla mia famiglia che adesso si è allargata, dopo l'arrivo di Lodovica, la mia bimba nata due mesi fa». Il Piccolo Principe ricomincia con il Giro di Lombardia, sabato, atto conclusivo di una brutta stagione: un anno fa era in cima a tutte le graduatorie mondiali, con la maglia rosa nel cassetto e l'etichetta di bambino prodigio stampigliata sulla pelle. Al Lombardia si presentò con dodici vittorie allattivo e sbaragliò il campo. Tra una settimana il Piccolo Principe di Cerro Veronese, 24 anni appena compiuti, si presenterà con il numero 1 sul dorsale, ma numero uno non lo è più. Nell'arco di dodici mesi è passato dalle meraviglie di un Giro d'Italia conquistato a soli 22 anni, a un presente fatto di rincorse e faticose ripartenze. «Questa - ci racconta Damiano - è stata la cosa più difficile: ripartire, riprendere un discorso già iniziato. È inutile negarlo: io per primo mi attendevo tantissime belle cose, volevo la riconferma, ma non ce l'ho fatta. La pressione, le aspettative, qualcosa di sbagliato nella preparazione e anche una buona dose di malasorte mi hanno ostacolato. L'anno scorso correvo senza pressioni, tutto mi riusciva facile. Quest'anno io ero un punto di riferimento e il peso della corsa e del risultato a tutti i costi si è fatto sentire sulle mie spalle. Mi ripetevano: sei un vincente, sai solo vincere, adesso dovrai anche imparare a perdere. È durissima imparare a perdere, molto dura...».
Al Giro, poi, quella difficile convivenza con Simoni, capitano che non se l'è mai sentita di farle da paggetto...
«E non doveva nemmeno farlo. Simoni è Simoni, io sono io. Il problema è che se io fossi stato il vero Cunego, un Simoni mi avrebbe fatto solo comodo e probabilmente anch'io non avrei finito per fare il gioco di Gibo. Dopo un buon inizio, al decimo giorno di corsa, sulla prima vera salita del Giro, la Marostica-Zoldo Alto, sono saltato per aria. Quello è il problema. E da lì sono incominciati tutti i miei guai».
Il prossimo anno Simoni cambierà squadra, e la Lampre sarà tutta per lei: sa che il peso delle responsabilità aumenterà?
«Certo che lo so, ed è giusto che sia così. È giusto che Gilberto, a 34 anni, si vada a togliere le sue ultime soddisfazioni e che io mi giochi tutte le chances che ho a disposizione per tornare quello che sono stato. Io credo nei miei mezzi, sono convinto di poter fare grandi cose, e come me la pensano il mio tecnico Martinelli e il team manager Saronni. Avrò più pressioni di quest'anno? Se si vuole essere un numero uno, si deve essere pronti a tutto: fa parte del gioco. Io voglio tornare quello del 2004».
Tra le ragioni di una stagione difficile, oltre alla mononucleosi che l'ha messo in ginocchio al Giro d'Italia, un inverno ricco di impegni (feste e premiazioni) e una preparazione forse poco calibrata.
«Be, la mononucleosi è stata una mazzata e mi ha condizionato. Poi a settembre ho corso troppo poco, quattro gare. Mi sono intestardito negli allenamenti, perché sapevo che tutti gli altri erano a correre. Alla fine però penso che sarebbe stato meglio fare qualche gara in più e allenarsi un po' meno. Un Giro di Polonia, ad esempio, non mi avrebbe fatto male».
E adesso, il Lombardia...
«Sabato torno sulle strade di una grande classica, dove un anno fa scrissi una delle mie più belle pagine. Ci arriverò con ben altra condizione, morale e obiettivi.
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