La cura dimagrante che fa male ai voti ma guarisce i conti

Vittorio Mathieu

Geronimo ha ragione: la politica si giudica dai mezzi, non dai fini proclamati che, di solito, piacerebbero a tutti. Applicando questo principio ai conti pubblici, che tutti vogliono risanare, dobbiamo domandarci: con quale mezzo?
Facile rispondere: stroncando l’evasione fiscale. È il proposito di qualsiasi governo, ma la domanda da porsi è: come mai l’evasione fiscale resiste da secoli, anzi, da millenni? La verità è che, via via che si cerca di stroncare l’evasione accrescendone i rischi, parallelamente ne aumentano i benefici, per un numero decrescente di evasori pronti a rischiare anche la vita. A un certo punto evadere - o, almeno, eludere - l’imposta diviene l’unico mezzo per arricchire, sicché i soli che dovrebbero pagare le imposte sono quelli che non le pagano.
Ridurre le aliquote, al contrario, farebbe aumentare il gettito: ma solo nel medio periodo; nel breve il deficit si accresce. Queste cose le vide Michael Rostovtzev quando studiò la Vita economica e sociale dell’impero romano (1926); e fu accusato di proiettare nell’antichità una situazione contemporanea: in realtà, è la situazione attuale quella che riproduce la situazione dell’impero romano in decadenza.
La situazione va affrontata dal lato delle spese; ma ridurre le spese significa ledere interessi acquisiti di fornitori, di burocrati, di cineasti, di parassiti. Quindi perdere i loro voti. Per questo avviene il contrario: la funzione pubblica si gonfia; e la funzione (lamarkianamente) crea l’organo, chiamato con l’orribile termine di «burocrazia».
Così chi si aggira nel cuore di Roma vede ogni tanto smontare un cantiere e uscirne un bellissimo palazzo rimesso a nuovo. Va a leggere la targa di ottone e trova: Presidenza del Consiglio. Occorre sempre più spazio, per scopi lodevolissimi, ma di pura erogazione. Se poi pensiamo che, in proporzione, le spese crescono via via che dai ministeri si scende alle regioni e agli enti locali, capiamo perché diminuire le spese, lì per lì, faccia perdere voti.
Ciononostante occorre riorganizzare la funzione pubblica: snellirla, senza abbattere i servizi essenziali. Occorre rinunciare, oltre che a spese di lusso, a molte erogazioni che si spacciano per «provvidenze», con parola dal sapore vagamente teologico. In molti casi si deve lasciare che la società provvedeva da sé. La tendenza a far scendere tutto dall’alto, con provvedimenti artificiali - chiamata dalla scuola austriaca «costruttivismo» - è un pregiudizio autoritario, e provoca un aumento della spesa a cui non si riesce a far fronte se non col circolo vizioso dell’inflazione.
Dobbiamo temere la burocrazia? La parola è usata, in genere, in senso denigratorio, eppure i singoli burocrati sono spesso, a tutti i livelli, persone eccellenti, ricche di umanità e di senso del dovere. A loro modo, data la situazione, sono anche utili: si tratta di fare in modo che i migliori si affermino e che il numero non si accresca.
Occorrerà, dunque, persuadere la maggioranza degli elettori a rinunciare alle «provvidenze» e a cercare di migliorare la propria condizione con un lavoro dal basso, di ciascuno secondo le sue capacità. Questo è il compito di un partito «delle» libertà, al plurale. Esso si troverà di fronte, inevitabilmente, il partito dello snobismo, dell’assistenzialismo, dello statalismo, dello sfruttamento del denaro pubblico a beneficio di pochi privati. Si troverà di fronte i poteri forti, che nascono dall’amalgama di tante piccole prevaricazioni a danno degli individui. Da che parte stia il bene non è sempre subito evidente a tutti.

Occorrerà affrontare più di una delusione, ma ne vale la pena.

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