Per curare le cilecche dei repubblicones non basta il viagra

Caro Granzotto, seguo sempre con interesse la sua rubrica che alla scuola del ridendo castigat mores porta sempre una ventata di allegria e di ottimismo. Eppure io non riesco ad essere ottimista come lei, vedo un futuro buio, preda dell’anarchia sociale e foriero di guai. Mi sembra di essere alla metà di un guado senza poter scorgere la riva di fronte. Mi spieghi, cosa la rende tanto di buonumore, con i tempi che corrono?
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Bé, caro Silvestri, mi guardo intorno. Che poi è il comandamento numero uno del giornalismo. Mi guardo intorno e non ho mai visto gli italiani stare tanto bene. Molti di loro questo benessere non se lo godono e lo vivono con rabbia perché è un benessere liberale e non sociocomunista come vorrebbero. Ma che ci possiamo fare se la gente vuol esser così fessa? Che ci possiamo fare se al dunque la rinomata società civile invece di dar esempio di civiltà, appunto, di compostezza e spirito democratico si mette a fare, rivolta agl’italiani, il gesto dell’ombrello, bras d’honneur in francese? Prenda i magistrati: minacciano lo sciopero (e lo faranno, stia pur certo) perché chiamati, al pari di tutti i cittadini, a stringer la cinghia. Per una limatina da niente alle loro succulente retribuzioni. I magistrati! Che dovrebbero rappresentare la parte più alta e nobile della società civile! Neanche in Congo, con rispetto parlando, s’era mai vista una faccenda del genere. Non creda però che la lotta dura e senza paura della Magistratura a difesa del proprio (ben fornito) portafogli faccia ombra al mio buonumore e al mio ottimismo, caro Silvestri. Dispongo infatti di un forte antidoto del quale non sarò mai abbastanza grato a Berlusconi. Trattasi di questo: se capita che mi vada di traverso la luna, basta che ponga mente agli antiberlusconisti e la luna torna al posto suo. Ma ci pensa? Sono quindici anni che a tempo pieno tramano e almanaccano per far fuori il Cavaliere. E ogni giorno di cavalierato - oggi siamo grosso modo al seimillesimo giorno - che passa diventano sempre più affranti, avviliti: disperati. Consapevoli di essere, gli antiberlusconiani, gli esponenti più intelligenti, colti, saggi, sinceri e onesti del genere umano, di essere sempre e comunque dalla parte del giusto e del vero, non riescono a capire come mai, con quel po’ po’ di forza d’urto a disposizione, non abbiano ancora fatto secco il Berlusca. Rodendosene il fegato. Attorcigliandosene le budella dalla rabbia. Nel centro Comando&Controllo dell’antiberlusconismo, sito a Roma in Largo Fochetti, gli strateghi repubblicones si spaccano la testa per escogitare sempre nuove iniziative che possano impallinare il Cavaliere. Invano. Dopo il fallimento della grande offensiva giudiziaria, di quella mafiogena e di quella somatica - tacchi, capelli, bandana eccetera -; fallita anche la strafexpedition dapprima noemica e di poi escortica, con grande annuncio di prove fotografiche a carico su mitiche «docce lesbiche» e meno mitiche nudità del povero Topolanek, che fa di nome Mirek e non, mannaggia, Silvio; sparata a salve anche l’ultima cartuccia marca Gianfranco Fini, l’antiberlusconismo si ritrova alla canna del gas. E i giorni passano. E Berlusconi resta in sella. C’è da dar fuori di matto, caro Silvestri, e io me la godo.

Conoscendo un paio di antiberlusconiani di area viscerale, di quelli che se glielo nomini vien loro la bava alla bocca, me la stragodo. Godo dei loro travasi di bile, ma sopra tutto della loro impotenza. Delle loro cilecche che durano da sedici anni. Sedici anni di andate in bianco e non c’è Viagra che tenga.

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