Milano - Già che c’era, ha deciso di continuare a divertirsi. Perciò: stavolta avanti con il blues. Cyndi Lauper, sapete, era quel tipino biondissimo che nel 1984 diventò famosa, ma famosa famosa, grazie a una canzone che senza volerlo si trasformò (anche) in un manifesto dello yuppismo: Girls just want to have fun, le ragazze vogliono solo divertirsi. Allora gli aspiranti Gordon Gekko, l’insostenibile personaggio di Michael Douglas in Wall Street così cinico così volatile, trovarono un’altra ragione per darci dentro e, appunto, divertirsi più del solito con le girls. Stramberie degli anni Ottanta. Poi esplose Madonna, gli Ottanta si accartocciarono e Cyndi Lauper cambiò pure colore di capelli per sganciarsi dalla madonnite. Adesso, che di anni ne ha cinquantasette ed è stata celebrata pure in una puntata dei Simpson, continua a fare quello che vuole. Due estati fa, un disco di ultra dance. Stavolta Memphis blues, un cd con dodici canzoni (una, Wild women don’t get the blues, è solo nell’edizione europea in uscita tra qualche settimana) che sono tutto il contrario di quello che sembrerebbe: ruvide, ben prodotte, dolorosamente blues. «La sua band l’ascolta con divertimento» ha scritto Rolling Stone, che di solito non è proprio tenero con chi bivacca al di là dei propri confini. D’altronde Cyndi Lauper non ne ha mai avuti. E anche ora, a immaginarsela negli Electraphonics Studios nella South Main Street di Memphis, a pochi isolati da dove una volta c’era la Stax Records culla del soul del funk e del blues, non c’è poi da sorprendersi più di tanto. Lei dice: «È il disco che sogno di fare da anni: ho scelto queste canzoni, e i musicisti che suonano nel disco, con incredibile attenzione perché li ho ammirati ed ascoltati per tutta la mia vita». Dopotutto ha messo il dito su brani come Crossroads o Rollin’ and tumblin’ che sono il biglietto da visita di un blues sanguinolento e ortodosso, già cantato in tutti i modi possibili e neppure immaginabili. Per di più, ha convocato anche superstar intoccabili, nel senso che nessuno può avere dubbi: B.B. King su tutti, che è con lei in Early in the morning. Ma poi ci sono pure Jonny Lang, uno che non ha neanche trent’anni ma usa chitarra e voce come un bluesman incatramato dall’alcol, Allen Toussaint, ultrasettantenne, che andò in classifica più di quarant’anni fa con Working in the coal mine, e Charlie Musselwhite, il bluesman bianco che suggerì a Dan Aykroyd come recitare il suo personaggio in Blues Brothers. Insomma, questo non è un cd raffazzonato: tutt’altro. Ovvio, ai puristi talebani probabilmente non piacerà e, di sicuro, Cyndi Lauper che canta How blue can you get o che implora «what you dooo-in» mentre B.B. King ricama Early in the morning fa un bel po’ di impressione.
Poi passa, però.
Lei ci sa fare, ha davvero «passeggiato sulle rive del Mississippi», come dicono gli esperti, e ha lasciato a casa la sguaiataggine glamour che l’accompagna sin da quando, quarant’anni fa, cantava cover di Led Zeppelin e Bad Company nei localacci di New York. In fondo, non ha fatto altro che rovistare nella memoria per trasformare un disco potenzialmente inutile in un disco potenzialmente memorabile. Dipende - come sempre - da lei: se lo promuoverà bene e se ne avrà voglia perché, si sa, va su e giù per il mondo inseguendo sempre le sue frenesie.
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