Laura Cesaretti
da Roma
«Perfetta sintonia» con Massimo D’Alema: solo nel tardo pomeriggio arriva la reazione di Romano Prodi alla clamorosa intervista al Corriere della Sera del presidente ds, che apre ufficialmente le danze del «dialogo» con Silvio Berlusconi e la Cdl.
Il premier in pectore (mai nominato dal presidente ds nella lunga e meditata esternazione al quotidiano di Paolo Mieli, fanno notare i più maligni), capisce che rischia di restar tagliato fuori dai grandi giochi: appeso fino a metà maggio, senza l’investitura che sta tentando di accelerare, ricevendo il secco «no» di Ciampi; a cercare di mettere insieme un governo traballante. Mentre i professionisti (D’Alema in testa) pensano alla grande politica e al risiko istituzionale. E allora il Professore distilla con i suoi collaboratori una presa di posizione che serva a chiarire agli alleati che - se «dialogo» deve essere - lui, il leader della coalizione e del futuro governo, ne sarà l’interlocutore e il regista. Dunque, provvede a sminuire, le posizioni di D’Alema «corrispondono a quanto io ho detto in questi mesi»: che «bisogna unire l’Italia», e farlo «con il dialogo, anche coi partiti del centrodestra». Il terreno su cui confrontarsi sarà «la nomina del nuovo Capo dello Stato» mentre per i presidenti delle Camere «ho già espresso con chiarezza il nostro orientamento a che siano guidate da due esponenti del centrosinistra». Terreno assai più circoscritto di quello ventilato da D’Alema, il quale in serata, anche per stoppare una nuova ondata di critiche anti-inciucio nei suoi confronti e dopo una telefonata di Prodi, ha precisato che ogni ipotesi di «governissimo» è «irricevibile», e che il suo invito al dialogo presupponeva il riconoscimento che «il risultato elettorale consegna a Prodi il compito di governare». Ma nell’intervista, pur escludendo grandi coalizioni perché «un’intesa ora sarebbe incomprensibile da parte dei cittadini», lasciava uno spiraglio assai più largo. La presidenza di una Camera all’opposizione? «Cosa del tutto anomala», dice D’Alema, che non può essere «la premessa, ma la conseguenza di una comune assunzione di responsabilità. E questo può accadere in un clima politico in cui ci sia l’impegno comune a garantire il funzionamento delle istituzioni». Se questo «mutamento di scenario» ci fosse, «a quel punto potrebbe essere aperto un dialogo». Altrimenti, niente «mercato delle poltrone». Non una mezza parola, invece, su quel che fino a ieri era il problema dei problemi, ossia il conflitto di interessi. Sul quale D’Alema aveva a ridosso delle elezioni usato toni a dir poco girotondini. E a urne aperte, quando i primi exit poll disegnavano una vittoria «storica», a suo dire, dell’Unione, aveva annunciato: «È una delle cose che vanno affrontate subito». Ora il problema pare sparito dall’ordine del giorno ds, e anche Piero Fassino si affretta a notare che «Mediaset è una risorsa del Paese», usando le stesse parole di D’Alema nel ’96.
La prima reazione di Prodi all’intervista era stata il «no comment»: «Non ho ancora letto i giornali», aveva tagliato corto il Professore. Il suo portavoce Sircana aveva (con una punta d’ironia) fatto sapere che le affermazioni di D’Alema erano «sagge e giuste», come si conviene a un «uomo saggio e giusto» della sua fatta, ma in fondo risapute visto che Prodi per primo aveva parlato di necessità del dialogo. I prodiani, d’altronde, non si nascondono che il problema esiste se il governo del Professore vuol partire e durare: «Bisogna trovare un accordo su tutto». Il dialogo però «non dovrà essere gestito da chi è direttamente coinvolto, ma da personalità fuori dai giochi politico-istituzionali». Traduzione: non certo da D’Alema, che di quei giochi è pienamente parte. «I ds sono in difficoltà, stretti tra Prodi a destra e noi a sinistra. Massimo ha cercato di smarcarsi aprendo la campagna per la sua possibile candidatura al Quirinale», osserva un dirigente del Prc. «Possibile e per noi anche auspicabile, così si toglie dai piedi», e lascia a Bertinotti la sospirata presidenza della Camera. Ma secondo il Verde Paolo Cento non è detto che finisca così: «I ds sono partiti lancia in resta per trattare, perché è chiaro che al Senato non possiamo farcela. E pensano di concedere una presidenza alla Cdl: non il Senato, ma la Camera, dove abbiamo una maggioranza forte.
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