D’Alema gela Bassolino: "Ora deve andarsene" E Nicolais si è dimesso

Pugnalata finale: "Gli voglio bene, ma serve rinnovamento". La Iervolino va col rimpasto, ma il segretario se ne va: "Non c'è stata la svolta"

D’Alema gela Bassolino:  
"Ora deve andarsene" 
E Nicolais si è dimesso

Roma - Parla a lungo della crisi di Gaza, sottolineando «la preponderante responsabilità di Hamas» ma puntando soprattutto l’accento sulla «reazione sproporzionata» di Israele, con il conseguente «rischio che tra i palestinesi prenda piede qualcosa di molto peggio di Hamas, cioè Al Qaida». Fosse per lui, Massimo D’Alema si limiterebbe alla politica estera, perché la distanza con il suo successore alla Farnesina, Franco Frattini, è siderale e la questione mediorientale è da tempo uno dei suoi pallini. Dopo un’ora e passa di Matrix, però, non può sottrarsi alle vicende italiane del Pd e D’Alema come al solito non delude gli estimatori.

Le sue critiche al «progetto del Partito democratico» sono note da tempo e l’ex premier si cura solo di non affondare troppo i colpi, senza però rinunciare all’immancabile sarcasmo. Tanto che alla fine Enrico Mentana non rinuncerà a ironizzare sulla sua «maniera un po’ civettuola» di ripetere che di incarichi di partito ormai non ne ha più. Concetto che D’Alema tiene a ribadire in almeno tre occasioni. «Io - spiega - ho fatto un passo indietro e chiesto di non far parte di nessuno degli organismi di partito». Insomma, «non sono uno dei massimi esponenti del centrosinistra» perché «non faccio parte né della direzione né del governo ombra». Certo, «non sono disoccupato» perché «sto facendo moltissimo con la fondazione Italianieuropei». E via a elencare i tanti convegni organizzati in questi ultimi mesi.

Formalizzata e ribadita la sua presa di distanza dal partito - «non mi presento alle riunioni a cui non sono invitato», dice - D’Alema non perde però l’occasione per una neanche troppo velata critica. «Quello del Pd - spiega - è un progetto che fatica a prendere quota, un percorso faticoso su cui dobbiamo impegnarci di più». «C’è un problema di alleanze?», chiede Mentana mentre sugli schermi al plasma dello studio troneggia l’immagine di Di Pietro. La risposta l’ex premier la dà tra le righe. Perché prima sembra elogiare «un uomo che gode della fiducia di milioni di italiani» per poi definire la sua politica un «populismo di minoranza». «Il Paese - dice - è stretto tra il populismo di maggioranza che fa capo a Berlusconi e quello di minoranza rappresentato da Di Pietro». D’altra parte, lascia intendere D’Alema, le alleanze non sono eterne e in futuro chissà come finirà («il nostro interlocutore non può essere solo Di Pietro»). Il pensiero va all’Udc di Pierferdinando Casini e pur non sbilanciandosi l’ex titolare della Farnesina lancia un messaggio lapidario quanto eloquente: «Con l’Udc in Parlamento ci troviamo d’accordo il 90% delle volte».

Si passa al capitolo inchieste giudiziarie e questione morale. Sui maxischermi scorre il servizio su Luciano D’Alfonso, Ottaviano Del Turco e Cristiano Di Pietro. D’Alema è impassibile. «Non voglio chiederle di fare il pm aggiunto...», prova a far breccia Mentana. «E neanche l’avvocato difensore», replica l’ex premier chiudendo la querelle giudiziaria. Sul caso Napoli, invece, non si tira indietro: «Ad Antonio Bassolino voglio bene, ha fatto molto in questi 15 anni. Ma a Napoli e alla Campania ora serve un profondo rinnovamento perché c’è una classe dirigente che ha esaurito la sua spinta propulsiva».


Un ragionamento che vale anche a livello nazionale, tanto che D’Alema torna a ripetere che la politica ha bisogno di «un forte rinnovamento generazionale». Con la sola eccezione di Berlusconi, che con ogni probabilità si sarà prodigato con gli scongiuri. «Lui - ironizza D’Alema - è un caso a parte, si è eternato ed è destinato a perdurare nel tempo. È immortale».

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