Roma - Altro che «passo indietro» come ha chiesto Veltroni. Massimo D’Alema è decisamente in campo nella partita congressuale del Pd. E indica in Pierluigi Bersani «la persona più adatta» a guidare un Pd più «solido e robusto». A differenza di Ignazio Marino, «serio» ma «non adatto». E Franceschini? La sua candidatura «non regge».
L’ex ministro degli Esteri ribadisce che le famose «scosse» sono ancora in agguato: Berlusconi, dice è «un uomo solo» e «perde credibilità». L’Italia può trovarsi presto davanti a «scenari imprevedibili». Il Pd dunque deve affrettarsi a uscire dalla «fase confusa» che attraversa. L’attacco al veltronismo è esplicito e durissimo: il Pd è diventato «un partito-movimento, drasticamente ridimensionato nella sua forza» e in preda a «gruppi di potere che non si sa a chi rispondano». Un partito che ha «detto di aver vinto le elezioni, peccato che le abbia vinte anche Berlusconi, e col massimo distacco». Dopo tante «sconfitte sonore», senza «alcuna autocritica», è normale che «il gruppo dirigente vada ricambiato». Franceschini «non può venire al congresso e dire “io voglio andare avanti”. Io quando ho perso le elezioni regionali 8 a 7, non così male, me ne sono andato». Le novità sono due, dice D’Alema: Bersani e Marino. Altro che l’attuale segretario e il suo attacco a «quelli che c’erano prima»: «Con tutto il rispetto, prima c’erano Fassino e Rutelli, e stanno entrambi con lui». D’Alema è scatenato: il totem delle primarie va abbattuto: «In tutti i comuni umbri dove le abbiamo fatte, abbiamo perso le elezioni». «Quando ho raccontato a degli americani come le facevamo noi, mi hanno detto: siete pazzi». Occorre tornare ad avere regole chiare, perchè «c’è stata una ventata di anarchia il cui unico obiettivo pare fosse quello di distruggere il partito». Un Pd che Veltroni (e con lui Franceschini) ha «troppo destrutturato», e che ha finito per avere «il suo unico punto di forza negli eletti, anzi nei nominati». E allora «dove sarebbe questo nuovo strangolato dagli apparati?», chiede provocatoriamente. È solo «una rappresentazione letteraria». Anzi: «Noi dell’apparato, i pochi rimasti, abbiamo una struttura particolare. Direi indistruttibile», assicura D’Alema.
L’ex ministro è schieratissimo e deciso a dare battaglia sul fronte pro-Bersani. Alla finestra ormai sono rimasti in pochi, dentro il Pd, e tra loro Arturo Parisi. «Troppi candidati per troppo poche idee»: così sintetizza il dibattito congressuale. Il professore, principale ideologo e difensore dell’Ulivo prodiano, non prende posizione sui nomi in campo, perché mancano «proposte riconoscibili» da parte dei candidati, e dunque l’unico criterio di schieramento fin qui adottato, e che Parisi rifiuta, è quello «affidato al proverbiale interrogativo del “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”. Sappiamo così con chi e perché stanno Rutelli e Marini, così come D’Alema e Veltroni. Molto meno sappiamo perché i diversi candidati stiano con le idee di quelli che li sostengono».
Annuncia però che «non appena anche la proposta di Franceschini sarà compiutamente disponibile», la sua associazione dei Democratici farà un seminario per decidere come schierarsi. Di certo, Parisi ha già chiarito di non condividere l’impostazione di fondo veltroniana e tampoco quella dalemiana.
Quando chiede (a Franceschini) «il disconoscimento esplicito della pretesa di ieri di fare più o meno da soli», chiede la liquidazione del partito «a vocazione maggioritaria». E quando esige (da Bersani) «il rifiuto esplicito della tentazione di tornare all’altro ieri, al centro-sinistra col trattino», liquida la «politica delle alleanze» dalemiana.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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